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Autorità portuali e priorità

Il comandante Angelo Roma spiega quali possono essere le strade dello sviluppo

Angelo Roma

Nel presentare il seguente commento di Assoporti sulle priorità per il governo, l’abbiamo erroneamente attribuito al comandante Angelo Roma, che invece ci ha segnalato di condividerlo ma che non si tratta di farina del suo sacco. Riportiamo il documento, scusandoci con Roma e Assoporti.

LIVORNO – Nell’ultima parte del documento di Assoporti “Priorità delle Autorità portuali per il futuro Governo” presentato a febbraio, si proponeva allo stesso di avviare una riflessione su temi che, pur costituendo “seconda fase” rispetto a più puntuali ed immediati interventi di tenuta del settore, hanno portata strategica: elaborazione di un piano strategico di sviluppo del sistema logistico imperniato sulla portualità; adeguamento del modello di governo dei porti; adeguamento del livello di autonomia finanziaria per la crescita infrastrutturale.
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Piano strategico di sviluppo.
Questo obiettivo si inserisce a pieno titolo nel processo di revisione delle reti di trasporto transeuropee che, evolvendosi da direttrici infra-UE a strumento di proiezione dell’UE verso l’esterno, i nuovi mercati, devono necessariamente imperniarsi sulle infrastrutture che consentono quelle proiezioni, aeroporti e, per quel che di interesse, porti anzitutto.
Conseguenza di questo è l’esigenza di puntare sull’adeguamento e la crescita delle infrastrutture portuali a servizio di flussi dall’oltre Suez (estremo oriente), ma anche dai fronti sud ed est del bacino del Mediterraneo, e sui collegamenti stradali e ferroviari tra porti e grandi direttrici di quelle modalità, con particolare riguardo alle reti terrestri dirette oltre frontiera.
Questi obiettivi appaiono anzitutto funzionali agli scali che dovrebbero qualificarsi come nodi della rete “core” TEN-T.
Peraltro verso non può neanche essere dimenticato che la nuova visione di rete TEN-T che si va prefigurando, ha anche un livello “comprehensive” o “globale”. La realizzazione della rete di questo livello, pure se prevedibilmente affidata alla responsabilità di ciascuno Stato membro, è strumento che appare indispensabile in funzione di un equilibrato sviluppo di ciascun area dei singoli Paesi ed in definitiva dell’intera UE.
L’orografia della penisola italiana, la lunghezza delle sue coste, l’assenza di grandi fiumi, la dispersione urbana e del tessuto produttivo, la carenza strutturale del trasporto ferroviario (e in vaste aree del sud anche di direttrici autostradali degne di questo nome), sono tutti fattori che impongono di riservare massima attenzione alla conservazione ed all’adeguamento di un patrimonio di portualità diffusa (che è anche rete di imprese produttrici di servizi e realtà occupazionali rilevanti), inteso quale sistema di nodi per supportare collegamenti marittimi vincolati con le grandi isole e collegamenti marittimi alternativi al “tutto strada”, e poli crocieristici.
In considerazione della molteplicità di obiettivi e della situazione economica generale, il necessario passaggio successivo è individuare una graduazione di priorità: tra gli stessi macro obiettivi e/o tra singole azioni specifiche.
Dando per scontato che la “mano pubblica” è, e continuerà ad essere, il principale investitore nel settore delle infrastrutture di trasporto (dati i bassi rendimenti dell’investimento – anche nel medio periodo – e stante l’attuale congiuntura del sistema bancario, impegnato in una fase di ricapitalizzazione), sembra indispensabile concentrarsi e o prioritarizzare:
– grandi investimenti già progettualmente e finanziariamente definiti, quindi cantierabili in tempi brevi; supportati da solide analisi costi/benefici e piani economico-fìnanziari opportunamente asseverati; accompagnati da piani di sviluppo imprenditoriali tali da garantire flussi di traffico aggiuntivi;
– progetti di miglioramento/adeguamento/manutenzione innovativa, che facilitino e consolidino flussi attuali.
La scelta puntuale è evidentemente non indolore in determinate aree, in particolare per ciò che concerne la progettualità di maggior rilievo, attesi i diversi grandi progetti elaborati o che si stanno definendo in porti insistenti su medesimi archi costieri.
Qualsiasi scelta in questo segmento sembra quindi doversi anche inserire in un quadro di priorità condivise con attori delle politiche del territorio e delle grandi infrastrutture che non sono propriamente portuali (Regioni, RFI, ANAS, Autostrade, ecc.) e, in quanto inserita in una programmazione nazionale, impone di riconoscere il ruolo di ultima istanza allo Stato.
Peraltro, le scelte (e le priorità) dovranno essere coerenti e fortemente ancorate ai disegni strategici di livello europeo in tema di infrastrutture di trasporto.
Autonomia finanziaria e risorse.
Al tema dello sviluppo del sistema logistico, si ricollega direttamente quello delle risorse.
Già si è detto riguardo la prevalenza, anche nel medio periodo, delle risorse pubbliche.
Peraltro verso non pare opportuno rimettere in discussione la scelta e la richiesta di urgente adeguamento del livello dell’autonomia finanziaria dei porti, che non può essere nel limite dei 70 milioni annui attualmente previsti, ma va portato almeno al 3% dell’IVA sulle operazioni di import svolte nei porti.
Neanche però può essere ignorato che un’autonomia finanziaria legata alI’IVA sulle operazioni di import genera, per ciascuno scalo, risorse che solo in parte corrispondono al suo rilievo ed al livello dei suoi traffici complessivi. Pertanto appare indispensabile altresì un’approfondita meditazione su sistemi che non attribuiscono a ciascun porto risorse, pur in presenza di traffici. Si pensi a tal riguardo al sistema delle “tasse in abbonamento”, la cui alternativa potrebbe essere quella (analoga a quanto avviene nei porti spagnoli) di tasse con riduzioni progressive all’aumentare del numero delle toccate; o di tasse commisurate al tempo di sosta delle navi agli ormeggi, o anche ai tempi di sosta delle merci in porto.
Modello di governo dei porti.
L’argomento è frequentemente affrontato assumendo a paragone modelli “europei”.
Peraltro, a ben vedere, di fatto non esistono riferimenti europei per questo aspetto.
Ogni modello è diverso da Paese a Paese e frequentemente (in particolare negli Stati non mediterranei) anche all’interno dello stesso Paese.
L’elemento in parte unificante e, si ritiene, qualificante di alcuni sistemi del versante nord europeo, è l’effettiva autonomia degli organismi di governo dei singoli porti ed il loro essere, nella sostanza;
– soggetto unico di governo. Talché, ad esempio, l’Autorità portuale di Rotterdam incorpora al suo interno anche la “componente” Autorità marittima;
– soggetto in grado di sviluppare iniziative logistiche in collaborazione con entità pubbliche e/o private nei territori extra portuali; di porre in essere politiche commerciali unitamente agli operatori del proprio porto e attivare iniziative in altri porti, talché diviene elemento di riferimento di un network di cui è perno.
Se è opportuna una scelta “europea”, in tal senso sembrerebbe necessario indirizzare il modello di gestione dei nostri porti.
Con questo obiettivo, tenuto conto anche degli intendimenti dell’UE in tema di port policy, non sembrerebbero però compatibili ritorni alle commistioni tra ruolo di regolatore e ruolo di impresa.
Viceversa risulterebbe rafforzata, anzi essenziale, in quella visione di Autorità portuale soggetto logistico di area coprotagonista delle politiche di assetto del territorio, l’esigenza di ricondurre in capo all’AP il coordinamento effettivo dei diversi soggetti pubblici e privati nella fase portuale, consentendo ad essa di: adottare misure intese, concretamente, a compensare e porre rimedio a carenze di enti ed uffici che operano offrendo servizi ed attività amministrative che completano la fase portuale (es. dogana, sanità marittima, ecc.); attuare integrazione fra porti ed interporti; contribuire alla pianificazione e realizzazione degli interventi infrastrutturali nei porti e per le connessioni tra i porti, le direttrici stradali e ferroviarie, i nodi logistici interni; determinare e graduare i costi corrispondenti all’utilizzo dell’infrastruttura ed altri costi portuali, ovviamente nel rispetto del principio “chi usa paga” (difficilmente derogabile sulla scorta di indirizzi UE).
Questa nuova (più elevata) visione dell’AP non è peraltro vincolata alla dimensione di un porto. L’AP è e resta un modello di amministrazione.
Il ruolo di soggetto logistico di area e protagonista delle politiche di assetto del territorio, prescinde da pesi e misure quantitative, salva la necessità (inderogabile) di autosufficienza economica della struttura AP.
Ovviamente ciò non può motivare il proliferare di AP. Piuttosto, invece, dovrebbe indurre, in una logica di razionalizzazione, a favorire, laddove se ne ravvisi la possibilità/opportunità/convenienza, l’attribuzione alle AP di compiti di amministrazione della portualità regionale e di valutare forme di aggregazioni tra Autorità portuali, ove condivise da singoli porti ed amministrazioni del territorio.

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Pubblicato il
23 Marzo 2013
Ultima modifica
25 Marzo 2013 - ora: 10:53

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