Corridoi doganali, pro e contro dalla Dogana agli spedizionieri
Quattro domande alla dottoressa Teresa Alvaro responsabile dell’innovazione all’Agenzia delle Dogane e al presidente degli spedizionieri di La Spezia Alessandro Laghezza
GENOVA – Se n’è parlato a lungo, anche con toni qualche volta accesi: i “corridoi doganali”, in qualche porto individuati come “banchina lunga” e le loro conseguenze sia sulla velocizzazione della logistica, sia sull’occupazione.
Così, a margine dell’assemblea di Federagenti della scorsa settimana, abbiamo rivolto quattro domande, esattamente le stesse, a Teresa Alvaro (Agenzia delle Dogane) e ad Alessandro Laghezza, presidente degli spedizionieri di La Spezia. Con la speranza che le rispettive risposte contribuiscano a un chiarimento sul tema e anche a un comune impegno per lavorare di concerto ad ottimizzare la filiera.
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1 – Il dibattito sui corridoi doganali ha confermato anche nei giorni scorsi la particolare sensibilità degli spedizionieri, che temono di essere bypassati malgrado l’impegno dimostrato per i nuovi livelli di efficienza. Esiste a suo parere questo rischio?
2 – Il caso Ikea ha fatto pensare che i corridoi dai porti italiani possano rapidamente diventare centinaia, per le grandi imprese, gli interporti, gli hub. E’ un’ipotesi realistica e se si in che tempi?
3 – Dei corridoi, come ha ricordato la dottoressa Alvaro, se ne parla dal 2008, ma solo con l’Ikea il “problema” è esploso. Alla base dello stesso ci sono notoriamente tempi troppo lunghi di transito (e/o di sosta?) delle merci nei nostri porti, per cui gli scali del Nord Europa ci sottraggono lavoro. E’ possibile dare risposte valide a questo tema senza guerre di religione tra operatori portuali, dogane ed altri enti di controllo?
4 – L’attesa della riforma della legge 84/94 sta creando speranze anche per la sburocratizzazione dei processi di passaggio delle merci nei porti, anche se sembra poco realistico poter risolvere in quella sede l’ingorgo normativo – citato anche dalla dottoressa Alvaro ma richiamato spesso dagli stessi spedizionieri – che rende non solo lungo ma anche incerto il processo. Quali potrebbero essere, a vostro parere, gli interventi risolutivi sul tema nell’ambito della riforma annunciata a breve?

Teresa Alvaro
1 – Premetto che i fast corridor abilitano l’incremento del traffico merci con benefici per tutti gli operatori del settore logistico, come dimostrato dalle analisi condotte durante la sperimentazione, ma ho l’impressione che sul tema corridoi ci siano ancora dei misunderstanding. Per fugare ogni dubbio sui rischi che gli spedizionieri siano bypassati, rimando al testo del Disciplinare sul sito dell’Agenzia che precisa che il “Gestore della missione” – vale a dire il soggetto che organizza il servizio di fast corridor – può essere, oltre al proprietario delle merci e all’operatore logistico, anche un intermediario, quindi uno spedizioniere.
Gli spedizionieri, proprio in virtù della loro esperienza e specializzazione professionale, potrebbero affiancare questi nuovi servizi ai servizi che già offrono. Naturalmente, ciò presuppone la volontà di adeguare l’offerta di servizi alla domanda di innovazione che proviene dalle aziende.
I risultati non mancano dove viene colta l’opportunità di innovazione. E’ il caso delle comunità portuali che hanno rapidamente aderito allo sdoganamento in mare nel 2014. Nei porti in cui è stato attivato si è registrato un incremento dei volumi di traffico, ancor più apprezzabile perché concomitante con la crisi economica.
Colgo l’occasione per far presente che l’utilizzo dello Sportello Unico Doganale, attivato progressivamente dal 2013, è ancora marginale. Dal 15 aprile scorso è ormai attivo su tutto il territorio nazionale, ma dalle rilevazioni riferite al periodo 15 aprile – 31 maggio 2015, risulta che solo il 5% delle dichiarazioni doganali viene presentata tramite lo Sportello e beneficia della velocizzazione delle procedure. Esistono quindi ampi margini di miglioramento anche nei principali porti/aeroporti in cui è stato avviato sin dal 2013 che raggiungono percentuali di utilizzo oscillanti tra il 10% e il 29%.
2 – Verranno realizzati nuovi corridoi, ma solo sulla base di precise regole e condizioni e di un’attenta analisi di impatto. Difatti il Disciplinare “quadro” prevede che le Direzioni territoriali delle dogane propongano l’istituzione di nuovi corridoi commisurati alle realtà organizzative locali da sottoporre al vaglio delle Direzioni centrali. Il processo di sviluppo dei corridoi, quindi non è incontrollato, ma avverrà in modo organico e standardizzato per favorire la crescita. I corridoi hanno questa potenzialità per varie ragioni.
In primo luogo perché assicurano la completa tracciabilità delle merci e dei container aumentando la sicurezza del trasporto e l’efficacia dei controlli che finalmente riescono ad abbinare merci a dichiarazioni.
Inoltre, le aziende hanno la certezza dei tempi di viaggio e di arrivo delle merci. In tal modo possono ottimizzare il ciclo aziendale organizzando in tempo reale i processi di lavorazione/gestione delle merci in arrivo, con evidenti vantaggi di incremento della produttività e di riduzione dei costi di stoccaggio.
Infine, va sottolineato che il “fast corridor” costituisce uno dei tasselli nella prospettiva della “seamless freight transport chain” vale a dire la completa tracciabilità delle merci introdotte nella catena logistica multimodale prevista dal Regolamento UE 1315/2013 sullo sviluppo della rete TEN-T, che impone la soppressione degli ostacoli amministrativi e tecnici all’interoperabilità della rete logistica.
3 – Dare risposte valide su questo tema non solo è possibile, ma è ineludibile per recuperare competitività.
Abbiamo impostato ormai un sistema per la completa tracciabilità della merce nella catena logistica e saremo così in grado di verificare i tempi effettivi di transito e sosta delle merci nei porti, anche nei trasporti intermodali. Grazie agli e-manifest, siamo già in grado di monitorare i tempi effettivi di transito e di sdoganamento.
Val la pena di evidenziare che la procedura di transito comunitario prevede una serie di stop & go e di adempimenti burocratici che, con il ricorso ai fast corridors, vengono eliminati. Le nuove procedure riducono costi e tempi del ciclo di import/export nonché i costi di gestione e di controllo in capo alle amministrazioni.
Tutte le semplificazioni introdotte hanno l’ambizione di recuperare competitività supplendo con infrastrutture immateriali ai gap della rete infrastrutturale, riducendo tempi e costi del ciclo logistico.
Tuttavia, l’innovazione va inquadrata nel contesto nazionale, sia dal punto di vista delle caratteristiche dell’economia del settore logistico (pluralità di attori, governance complessiva, …), sia tenendo conto delle caratteristiche dell’infrastruttura logistica nazionale. A questo scopo è però necessaria una regia complessiva di livello nazionale, per risolvere le “inefficienze di sistema” più volte evidenziate.
4 – Sono necessari interventi complessivi per diminuire il costo dell’incertezza derivante dalla giungla normativa che grava attualmente su cittadini e imprese. Su questo la Dogana ha agito strutturalmente adottando un metodo basato su elementi chiave.
In primo luogo, la condivisione di piani strategici/operativi di reingegnerizzazione dei processi tra amministrazioni e l’inclusione degli utenti nel processo decisionale, che consente di governare e comporre gli interessi dei diversi attori
Inoltre, lo sviluppo “a spirale” dei nuovi processi effettuato parallelamente alla predisposizione delle disposizioni applicative. In tal modo vengono valutate sistematicamente, insieme a tutti gli attori coinvolti, la praticabilità e l’efficacia/efficienza della soluzione abbattendo le criticità derivanti dall’esistenza di un quadro regolamentare definito prima che ne sia stata verificata l’effettiva praticabilità operativa.
Infine applicazione dei paradigmi ONCE (invio unico e controllo unico) & full digital. Le informazioni sono acquisite una sola volta – come sottoprodotto dei sistemi aziendali – e messe a disposizione degli altri enti che hanno titolo a utilizzarle, unificando i controlli di competenza delle diverse amministrazioni, per esercitare sulle imprese un unico controllo, di grande efficacia perché basato sul complesso delle informazioni disponibili, e, soprattutto, di minima invasività.
In conclusione, quando reingegnerizziamo un processo il provvedimento relativo è autoconsistente, vale a dire non contiene rimandi ad altre norme e contiene regole chiare immediatamente e agevolmente applicabili.

Alessandro Laghezza
1 – Esiste certamente. Nel caso dei corridoi via strada di fatto l’operazione doganale di transito, che attualmente viene curata dagli spedizionieri, viene sostituita dal monitoraggio Uirnet. L’importatore ha il vantaggio di ottenere gratis (rectius a carico dello Stato) ciò che oggi rappresenta un costo, per quanto trascurabile; con il rischio di veder trasferite la gran parte delle operazioni doganali nei luoghi dell’interno, dove notoriamente il livello dei controlli è inferiore rispetto a quello dei porti e dove vengono aperte, a spese del contribuente, dogane “ad hoc” che fungono come terminale del corridoio. In sostanza un’attività resa dal Pubblico in regime di sostanziale monopolio e per ora offerta gratuitamente si sostituisce ad una attività privata resa dagli spedizionieri in regime di libera concorrenza. Per quanto riguarda i corridoi via treno il ragionamento è analogo e punta a spostare il momento doganale dal porto agli interporti, spesso non dotati delle strutture necessarie ai controlli (si pensi ai costosissimi scanner di ultima generazione presenti solo nei porti). Un’innovazione quindi non solo costosa, ma anche rischiosa ed in un’ultima analisi inutile, visto che con il preclearing le operazioni doganali possono già essere effettuate a tempo zero (o negativo) prima che le merci arrivino in Porto.
2 – È purtroppo un’ipotesi realistica. La cattiva informazione connessa all’argomento ha fatto pensare a molte imprese che la procedura di corridoio doganale possa rappresentare la panacea per risolvere lentezze e burocrazia del sistema doganale italiano. In realtà il sistema Uirnet ha grossi problemi di funzionamento e la sostituzione di un documento totalmente informatizzato (Il T1) con una complessa procedura di rilevamento satellitare rende necessaria la presenza umana al monitoraggio dei percorsi, nonché l’intervento di scorte dedicate di Dogana o GDF in caso di anomalia tecnica o nel tracciato effettuato dal mezzo. Ciò comporta un’operatività esclusivamente diurna e incompatibile con i tempi della logistica e dell’autotrasporto. Ma queste informazioni, purtroppo, non giungono alle imprese. Per quanto riguarda le autorizzazioni chieste dagli interporti, in molti casi queste sono operazioni di marketing che puntano a rivitalizzare vere e proprie cattedrali nel deserto, frutto di iniziative politiche piuttosto che di reali esigenze della merce. In altri casi la volontà di chi gestisce gli interporti è semplicemente quella di migliorare le proprie relazioni con i porti italiani, aspetto questo che nulla ha a che vedere con l’emissione o meno di un documento di transito ma piuttosto con aspetti telematici, logistici e soprattutto commerciali.
3 – I tempi lunghi di transito delle merci in porto sono dovuti non tanto all’operazione doganale, che ormai con il preclearing si svolge a tempo zero con merce ancora a bordo delle navi, ma alla mancata attuazione dello sportello unico dei controlli e all’intervento di troppe autorità non coordinate fra loro. In sostanza le merci sostano nei porti solo in caso di controllo fisico o di scelta, legittima, del proprietario della merce. La piena implementazione di preclearing e sportello unico e l’utilizzo della tecnologia dei corridoi per il trasferimento nell’interno della merce sdoganata in porto ma soggetta a visita fisica consentirebbe di ottimizzare il processo senza realizzare disequilibri di mercato e, quel che è peggio, violazioni della normativa comunitaria in materia di transito. Per essere più chiari, ciò che noi spedizionieri liguri proponiamo è il pieno utilizzo delle autorizzazioni e delle best praticse esistenti nei nostri porti, puntando allo sdoganamento in mare e dando la facoltà agli operatori AEO, che ai sensi della normativa comunitaria ne hanno diritto, di effettuare le verifiche doganali in luoghi diversi dal porto qualora ritengano questa opzione più competitiva. Per quanto riguarda le autorizzazioni storicamente in essere (penso al corridoio ferroviario Genova/Rivalta) siamo sempre stati del parere che l’allargamento del porto ad un singolo retroporto di prossimità (Rivalta per Genova e Santo Stefano per La Spezia) rispondesse ad una logica di ampliamento del sistema portuale più che di by pass dello stesso, anche perché a Rivalta e a Santo Stefano possono operare le nostre aziende che continuano a fornire alla merce i propri servizi. Tuttavia personalmente ho forti dubbi anche sulla procedura in essere a Rivalta e credo che sia stata all’epoca un errore avallarla senza analizzarne meglio le criticità da un punto di vista della rispondenza alla normativa comunitaria e la possibile estensione della stessa ad interporti lontani o addirittura privati, ossia dove le nostre aziende, anche qualora volessero, non sarebbero messe in condizioni di operare.
4 – I punti chiave della riforma portuale, per quanto ci riguarda, sono l’elevazione della dogana al rango di ente unico dei controlli ed il rafforzamento dei poteri di coordinamento delle autorità portuali. Obiettivi entrambi condivisibili, che vanno integrati con quelli sopra citati e con una efficace messa in rete dei tanti sistemi informativi e telematici oggi operanti nel settore. Devo tuttavia rilevare che sulla partita della riforma portuale, così come su quelle altrettanto fondamentali della gara di affidamento della concessione Uirnet (vero e proprio sistema nervoso futuro delle logistica italiana) e dei corridoi doganali la nostra Associazione di categoria (Fedespedi) è stata assente o mediata da Confetra, confederazione che esprime anche anime molto diverse dalla nostra e su molti temi fatica a trovare una sintesi. Gli spedizionieri meritano di avere un ruolo ed una capacità di interlocuzione anche politica molto superiore, soprattutto in questo momento in cui si sta ridisegnando, con il Piano dei Porti e della Logistica e la successiva riforma, il futuro delle attività per i prossimi vent’anni.
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