MSC nel TMT e la tempesta cinese

Pierluigi Maneschi
L’analisi a tutto campo della situazione mondiale dopo le svalutazioni dello yuan e i riflessi sullo shipping – Le nuove prospettive del terminal portuale triestino con Marinvest
TAIPEI – Dall’altra parte del pianeta, dove lavora ormai quasi quanto nella sua patria d’origine, Pierluigi Maneschi ha ovviamente una visione globale dei grandi problemi dello shipping mondiale, anche in relazione alle attuali tempeste monetarie innescate dal colosso Cina. Lo abbiamo raggiunto in partenza verso l’Italia chiedendogli una valutazione sui suddetti temi, con gli eventuali riflessi per l’Italia dove l’imprenditore è stato uno dei protagonisti (oggi assai amareggiato) dei tentativi di determinanti investimenti globalizzati su Taranto e Trieste.
[hidepost]Sui due porti Maneschi ha preferito non pronunciarsi. Comprensibile la sua amarezza, visto che entrambi i porti, dove a lungo ha investito e programmato, hanno condiviso la sorte di veder scappare alcuni dei maggiori terminalisti mondiali. Da Trieste è scappato in passato ECT di Rotterdam, successivamente nell’orbita di Hutchinson di Hong Kong. Da Taranto di recente se n’è andata con il conseguente sconquasso la stessa Hutchinson (ovvero il più grande operatore terminalista portuale del mondo) che in Mediterraneo e in Nord Europa continua ad operare con successo.
L’intervista è partita dalla notizia del recente ingresso di Marinvest – una importante società italiana della holding MSC con molteplici interessi portuali – nell’azionariato del TMT triestino.
Maneschi, l’operazione Marinvest è stata definita una sorpresa per Trieste. In realtà era partita da tempo.
“Confermo, avevamo sottoscritto un primo accordo già nel 2008 che metteva loro a disposizione il 45% del TMT. Il subentro della grande crisi internazionale con il relativo calo dei traffici ci persuase ad aspettare tempi migliori, con la clausola a garanzia di entrambi che ciascuna delle due parti poteva eventualmente recedere. Poi, ultimamente, l’avvio dei nuovi traffici con il servizio M2 ci ha convinti a riprendere in mano l’accordo e concretarlo, anche nella prospettiva di eventuali importanti investimenti sul terminal. Oggi le quote del TMT sono rispettivamente del 55% nostre e del 45% di Marinvest, con la clausola condivisa che potremmo eventualmente arrivare anche al 50% ciascuno”.
La “tempesta perfetta” scatenata dalla Cina in ambito monetario si sta riflettendo anche sul trade mondiale. Ritiene che avrà conseguenze anche sullo shipping? E di che portata?
Come già avvenuto in America ed Europa, nel passato, la crescita esasperata dell’economia, genera speculazioni finanziarie che possono portare ad episodi come quello cinese. E’ facile prevedere il riassetto delle borse cinesi, perché il sistema di governo, così centralizzato, consente manovre correttive immediate, che proteggono le grandi corporazioni. In un modo o nell’altro tutta l’economia strategica cinese dipende dal potere centrale che dispone di enormi riserve monetarie. Probabilmente, dopo aver drenato gli interventi finanziari dei piccoli risparmiatori, che sono milioni di persone, tutto riprenderà, come prima.
All’inizio ci sarà meno denaro a disposizione, ma i cinesi sono molto operosi e presto torneranno a sorridere! I problemi dello shipping non dipendono solo dalla Cina: l’economia mondiale cresce meno delle capacità di trasporto delle navi, pertanto, i traffici non crescono e si crea squilibrio tra la domanda e l’offerta
E’ stato sottolineato che l’agenzia cinese SAFE, che per conto della banca centrale si occupa degli investimenti all’estero, ha bloccato già da mesi i progetti di nuovi investimenti privati cinesi fuori dai confini. Possono esserci a suo parere conseguenze anche per i grandi progetti nel Mediterraneo?
Il governo cinese ha deciso di promuovere ulteriori investimenti esteri, in Cina. Se ciò non avviene, dovrà sostituire tali investimenti con quelli locali, sia pubblici che privati, ne consegue un rallentamento delle acquisizioni cinesi all’estero.
Si è parlato di recente anche di fusioni in vista tra importanti vettori della Cina in campo marittimo. Tutto questo può creare elementi di tensione in un mercato che oggi soffre di eccesso di offerta di stiva o rappresenta un’opportunità di razionalizzazione e di semplificazione anche per le altre grandi compagnie del far East, a cominciare da quelle di Taiwan?
Le fusioni nel settore marittimo rappresentano un fenomeno abbastanza ricorrente, ricordiamoci che le due compagnie sono controllate dal governo centrale, pertanto ci potrebbero essere motivi economici, ovvero anche politici. Si tratta di due realtà molto importanti, che a mio parere, possono continuare sia separate che unite, l’eventuale fusione non cambierebbe il panorama marittimo mondiale, nell’intenzione di chi ha ipotizzato la fusione, ci potrebbero essere motivi di difficile interpretazione per noi occidentali.
Ultima domanda: si attende la riforma della legge 84/94 che a suo tempo lei ci definì come sostanzialmente buona.
“Quella legge fu in effetti una buona legge per i suoi tempi, ma male interpretata e peggio applicata da molte delle amministrazioni portuali. Mi auguro che il ministro Delrio riesca, anche con il supporto delle nuove normative, a modificare certe attitudini portuali nostrane che ostano ai grandi investimenti privati sui terminal. Sperare è sempre possibile, anche se qualche volta richiede un grande sforzo di volontà”.
A. F. [/hidepost]