Ma il piano è davvero il futuro?
Emanuele Chiesa, che si firma “semplice operatore portuale in transizione” ci ha inviato le seguenti interessanti note sul tema di fondali e della piattaforma.
Buondì signor direttore, leggo uno dei suoi ultimi articoli: “Pensieri oziosi di un ozioso dopo Bruxelles”. Non riesco a fare a meno di notare, punto saliente del suo articolo, la difficoltà, velata negli accenni, addottata dai cosiddetti player mondiali nel concedere buona fiducia agli sforzi del grande progetto “Piattaforma Europa”.
[hidepost]Premetto di non essere approfonditamente al corrente di tutti i fatti quanto Lei e gli operatori livornesi ivi coinvolti, ma un dubbio si annida rispetto a quanto letto nell’articolo. Se non ricordo male, uno dei motivi strutturali storici preminenti nella disposizione ingegneristica del nostro porto, è il fatto che esso sia edificato esattamente sul limite geologico in cui la conformazione del fondale permette possibilità di escavo senza creare ridondanti problemi. Da figlio d’arte della portualità labronica ho sempre destinato parte dei miei interessi anche alle origini strutturali del porto di Livorno, e del perché esso terminasse a margine delle spiagge di Calambrone. La monumentalità dell’opera che è assiduamente perseguita da tutte (o quasi) le Istituzioni toscane pare, fino a prova contraria, rappresentare più una necessità di vetrina di fronte al mondo che non una reale opportunità di rilancio. Lasciando a parte le difficoltà già in essere costituite dalle 2 vasche di colmata ancora oggi non ultimate e di cui conosciamo bene le problematiche, il piano messo sul tavolo dai vari Enti appare più come un atto declamatorio di volontà affetta da gigantismo, che non un reale rilancio della piattaforma portuale in tutte le sue diramazioni. Livorno, non solo soffre di un ormai anonimato cronico in campo internazionale, ma le amministrazioni sino ad oggi susseguite non sono mai riuscite a dare risposte concrete neppure nei fatti di manutenzione ordinaria e di ordinamento (perdoni l’allitterazione) delle figure private operanti. Le “Big Company”, per loro natura, tendono a scegliere indipendentemente gli archi costieri più opportuni alle loro strategie e, onestamente, la condizione logistica del nostro Porto non offre alternative mirabolanti: APM nel 2017 terminerà i lavori di consolidamento di Vado Ligure inaugurando un vantaggiosissimo scalo per mega navi containers praticamente attaccato alle grandi direttrici europee. Fanno un po’ sorridere questi anni di interventi, proclami, propositi e, supposte battaglie verso l’ampliamento che porterà il nostro scalo a livello e onore dei grandi porti europei. Quali dei nostri operatori ha una visione di tali dimensioni e respiro? Quando invece appaiono, e da tempo, impegnati nell’eterno battibecco della spartizione di un orticello in cui ha più importanza la paralisi del concorrente che non lo sviluppo e l’acquisizione di nuovo traffico (cartello?).
Deve perdonarmi. Forse la militanza su una banchina, e nel mio caso, come nel caso di chi mi ha preceduto, reale, mi rende scettico di fronte a tali roboanti pianificazioni. Molti dei colleghi spesso citati in articoli, la cui professionalità (illustre) viene dalle banchine, mi spingerebbe spesso ad approfondire quando essi le abbiano calcate, e se si, per quanto tempo.
Forse dovremmo ricominciare a guardare nella direzione di ciò che già abbiamo; di contestualizzare; di capire come amministrare bene spazi che sarebbero ancora più che sufficienti per un Porto costretto nel centro Italia che avrebbe certamente grandi potenziali, ma che si trova anche a 80 miglia marine da Genova e circa 95 da Vado Ligure. E magari rimembrare anche che se lo scalo arriva geograficamente dove arriva è perché lo zoccolo roccioso su cui poggia finisce effettivamente poco prima di dove vorremmo far prendere il volo ai nostri sogni.
Semplice operatore portuale in transizione. Emanuele Chiesa.
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