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La tempesta e il mondo degli spettri

LIVORNO – Il primo annuncio l’abbiamo letto sul blog triestino FAQ, che merita sempre una consultazione. C’era scritto qualche giorno fa che il professor Sergio Bologna sta per presentare un suo nuovo libro, con prefazione di Zeno D’Agostino – ecco il richiamo a Trieste, dal significativo titolo “Tempesta perfetta, atto secondo”, ovvero il crack che viene dal mare. Precisazione: puntata seconda, perché segue un volume che, come recensimmo a suo tempo, annunciava la tempesta perfetta nel mondo dello shipping dei containers.
Per correttezza, precisiamo che questo secondo libro non l’abbiamo ancora letto. Ma già nel primo, il noto studioso delle problematiche dello shipping aveva previsto molti dei problemi che si stanno verificando, con l’eccesso di offerta, la concentrazione delle flotte, i merger e i fallimenti.
[hidepost]Non per niente in copertina di questo ultimo lavoro c’è una foto di una nave Hanjin. Sappiamo tutti che la crisi di Hanjin non è stata la sola, e se le soluzioni sono state per altri meno traumatiche è perché sono arrivati interventi governativi – specie all’est – sostanziosi, anche se non si sa ancora bene se sostanziali.
Qual’è l’analisi di Bologna, che già era presentata nel suo primo libro? Premesso che il nostro autore ha una militanza politica di sinistra, e che a questa militanza qualche volta sembra forzare l’analisi dei fattori economici, Bologna sottolinea che nei traffici marittimi internazionali si è fatta troppa finanza e troppo mercato, ma poca analisi rigorosamente economica sull’andamento dello sviluppo – o delle crisi – nei paesi. Poco ci manca ad arrivare a descrivere una corsa dissennata (la parola è pesante, ma non ne troviamo una più adeguata) alle navi sempre più grandi, puntando ad economie di scala che erano più teoriche che sostanziali, in quanto si sono prospettate in tempi di fuel a basso costo. Il tutto ha peraltro imposto ai terminal enormi investimenti per accogliere le suddette grandi e grandissime navi: che hanno viaggiato sempre più spesso a carico ridotto per mancanza di mercato. Morale: chi ha le spalle larghe, o è appoggiato da azionisti (privati ma specialmente pubblici) con le spalle larghe, ancora se la cava e aspetta che gli altri affoghino. Gli altri, appunto, o si consorziano, o si fondono, o sono problemi. Anche di sopravvivenza.
Non pretendiamo certo, da questo osservatorio di periferia, di dare o anche solo di immaginare ricette. Una cosa però è certa: in un mondo della grande logistica che si muove con queste enormi problematiche, il ruolo della portualità italiana sembra essersi insabbiato nella mancata rapida attuazione delle riforma portuale. Che con tutti i suoi limiti, è comunque una riforma che avrebbe dato alcune risposte. Oggi siamo, ancora una volta, ad aspettare Godot con il freno tirato, mentre il Paese si scanna sulle degenerazioni della partitocrazia, più interessato alla “politica delle cosce” della ex ministra Boschi che ai porti. Come a dire: siamo noi in un mondo di fantasmi, o chi dovrebbe governare è fuori dal mondo del reale e si occupa solo di spettri?
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
28 Dicembre 2016

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