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Concessioni, scadenze e futuro

Come regolamentare i passaggi che riguardano sempre più aree portuali

ROMA – La discussione è stata aperta in Seaport, l’associazione che conta a livello internazionale oltre 1.600 iscritti, in gran parte terminalisti ed operatori nella logistica portuale. Ma alla fine dei conti, è un dibattito che dovrebbe riguardare più che altro gli Stati e la stessa Unione Europea. Tema: che fare mano a mano che scadranno le concessioni portuali nei vari terminal, in gran parte “calibrate” su periodi di vent’anni e proprio “partite” una ventina d’anni fa o poco meno?

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Non è una domanda oziosa o di interesse limitato, proprio perché siamo vicini a molte scadenze. C’è chi ha creduto di risolvere la cosa chiedendo una proroga della concessione, ma non sempre le cose sono andate lisce. E si sta scoprendo che non solo in Italia ma in tutta Europa, non esiste una norma generalizzata ed ufficiale per affrontare questi passaggi: mortale, che si fa?

Difficile pensare che in un grande terminal, creato da un terminalista spesso multinazionale, alla scadenza di una concessione pluriennale quest’ultimo saluti e se ne vada, restituendo al potere pubblico non solo le aree ma tutto quello che ci ha creato sopra di inamovibile (in teoria gru e mezzi mobili possono essere trasferiti). Si apre un’altra gara? Ma chi esce con quali diritti prioritari vi partecipa? Si proroga la concessione? Ma sulla base di quali principi, per non lasciare che ciascun paese – o ciascun porto – decida per conto proprio, in una jungla del diritto e della prassi? E il plusvalore creato da venti e più anni di attività? E le garanzie per i clienti che certo non sono aiutati ad aspettare che arrivi un nuovo titolare?

E’ per questo che l’Europa di Bruxelles viene sempre più tirata per la giacchetta, di questi tempi, per studiare e proporre soluzioni. Dicono che sia uno dei temi urgenti nell’ambito delle leggi sulla portualità che ormai in tutti i paesi hanno raggiunto – più o meno – lo stesso livello di obsolescenza. Insieme al tema ancora più grande che riguarda proprio la funzione dei porti: che in venti o trent’anni è profondamente cambiata, che ha visto crescere specializzazioni prima inesistenti, e che in molti casi si è avvicinata più a quella di un distretto produttivo che non ad un emporio. Ma i Paesi e le loro Authorities portuali questo l’hanno davvero capito?

A.F.

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Pubblicato il
21 Agosto 2010
Ultima modifica
24 Settembre 2010 - ora: 09:17

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