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Porti adriatici, risorse tradite

Andrea Morandi

LIVORNO – Questa nostra intervista ad, presidente Agenti marittimi Marche e Abruzzo, si è svolta telefonicamente mentre era in viaggio da Ancona verso Roma. Ed è servita come test in tempo reale sulla bontà dei collegamenti fra il versante adriatico e quello tirrenico. Risultato: scelta di tratte alternative per evitare ponti non sicuri, corsie uniche per lavori di sostituzione di guardrail non a norma, percorsi obbligati in tratti di campagna e scarsa copertura di linea telefonica… Partiamo da qui.

Presidente, oltre alle difficoltà dal lato infrastrutturale, materiali e non, che stiamo sperimentando nel corso del suo viaggio e che penalizzano i traffici, ci sono anche i provvedimenti fiscali della finanziaria che non danno certo una mano al settore…

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L’impressione è che il Paese soffra di schizofrenia: il grande sforzo compiuto in questi anni per affermare quanto la Blue Economy fosse rilevante per il Paese sembrava aver colto nel segno catturando finalmente l’attenzione e l’impegno della politica; ed invece il risultato è che una mattina ci svegliamo con delle misure fiscali che vanno esattamente nella direzione opposta. E’ un provvedimento che toglie competitività ai nostri porti e dà una mano a quelli del Nord Europa nel mantenere il loro vantaggio. E non ne avevamo certo bisogno. E’ purtroppo noto che non riusciamo ad essere competitivi sui collegamenti ferroviari in termini di transit time per far si che i traffici scelgano sempre più l’Italia piuttosto che fare il giro e arrivare nel Nord Europa. Occorre un sistema efficiente e veloce oggi più che mai, ed una diversa impostazione mentale. Smettiamo di pensare che ci sarà sempre tempo per fare qualcosa, dobbiamo dare le risposte quando servono. Sennò rischiamo di perdere “treni” che difficilmente ripasseranno.

Per sviluppare i traffici dell’area Adriatica quali azioni sono necessarie?

L’area Nord Adriatica ha una capacità intermodale più alta rispetto a quella centrale. L’Adriatico è comunque un mercato molto importante e con sicuri margini di crescita, come ha dimostrato negli ultimi anni, ma si deve lavorare ancora molto sulle infrastrutture per i porti dell’area centro-meridionale perché altrimenti non riusciremo a frenare la spinta dei traffici verso il Nord. Dobbiamo pensare al porto di Ancona come una delle porte di accesso dell’Adriatico per andare a Nord, e viceversa, anche per ciò che riguarda l’export, e lavorare affinché diventi una soluzione competitiva rispetto ad altre. Manca ancora il collegamento intermodale: solo così si colma il gap di tempo e costi dato dalle rotture di carico. Queste condizioni vanno rafforzate sul versante Adriatico; viceversa si preferirà ancora dirottare i traffici sul Tirreno.

Nello specifico cosa manca nella parte centro adriatica?   

Abbiamo un collegamento alla rete nazionale già pronto per qualsiasi tipo di sagoma di containers o semirimorchio, ma paradossalmente non siamo abbastanza efficienti nei collegamenti ferroviari dell’ultimo miglio: è questo che ancora limita in parte lo sviluppo del trasporto intermodale. Ad esempio ad Ancona, esiste il progetto di adeguamento dei binari che verranno allungati e potenziati in modo che la manovra sia più fluida ed efficiente ma ad oggi questa è la situazione. In parallelo, per attrarre traffici sovraregionali occorrono spazi, aree di deposito, piazzali di retrobanchina, oltre che dei fondali per l’accesso di navi più grandi. Ancona ha fondali di circa 10 metri ed ovviamente li vorremmo più profondi, ma il problema dei dragaggi riguarda tutti i porti: alcuni di questi hanno fondali più importanti dei nostri ma per la difficoltà di dragare hanno la nostra stessa accessibilità; so che anche Ravenna ha problemi di questo tipo.

Il sistema è rimasto indietro; e non c’è una cosa più importante dell’altra per stabilire una priorità: in parallelo bisogna portare avanti spazi, retrobanchine, dragaggi e collegamenti ferroviari.

Anche sul tema dragaggi c’è questa schizofrenia italiana. La normativa doveva essere snellita ed è successo il contrario; non solo, anche le diverse ARPA della stessa Regione usano approcci diversi così assistiamo a caratterizzazione di sabbie con modalità differenti da porto a porto. Questo a mio parere è inaccettabile.

A livello doganale siamo spesso riconosciuti come fiore all’occhiello a livello europeo, tuttavia, confrontandoci tra diversi operatori su scala nazionale, si rileva ancora la necessità di armonizzare alcune procedure per garantire gli stessi tempi e la medesima operatività in tutti gli scali.

Sono temi noti che ripetiamo da ormai diversi anni quindi è evidente che se non ci sarà un significativo cambio di marcia si rischia di condannare il nostro Paese alla paralisi.

Quanto siete ascoltati come Federazione su questi temi? Qual è il vostro peso e qual è l’attenzione del governo, anche in relazione alla vostra area?

La nostra esperienza nel campo dello shipping ed il percorso imprenditoriale della maggioranza di noi, che ha allargato gli orizzonti e diversificato costruendo un grande bagaglio di conoscenze, permette alla categoria di dare un contributo fondamentale sia dal lato armatoriale che da quello delle spedizioni a 360 gradi. L’attenzione dell’attuale governo – ed anche del precedente – l’abbiamo sentita; ma il problema è l’incertezza della durata dello scenario politico italiano. Occorre il tempo di poter mettere in pratica quello che viene programmato. Ad esempio ad Ancona esiste il problema del collegamento autostradale dell’uscita ovest che aspettiamo da tanti anni; ogni volta che siamo stati vicini ad iniziare qualcosa – ed è successo anche con gli ultimi ministri  – tutto si è poi bloccato e rimesso in discussione. Ritengo che questo rappresenti un’occasione persa per lo sviluppo; dobbiamo cercare di avere continuità nelle iniziative importanti per il bene del Paese e portarle a termine nell’interesse di tutti, a prescindere dallo schieramento politico di chi ci governa.

L’altro blocco che deve essere rimosso è il sistema normativo degli appalti. Ancona ha in costruzione una banchina di 300 mt come completamento di quella rettilinea esistente: è un’opera che rappresenta il futuro del porto; c’è il progetto e ci sono i fondi, ma per le solite dinamiche dei ricorsi è tutto fermo da 5 anni. Gli armatori che vogliono portare i loro traffici da noi non possono accettare queste incertezze ed anche quelli che avrebbero voluto investire nella costruzione non possono farlo finché la procedura in corso non si concluda. Per un’altra banchina di Ancona che deve essere rinforzata si è aperto un bando pubblico la cui procedura non la renderà disponibile come minimo per sei mesi… questi tempi per gli investitori esteri non sono concepibili.

Da questa intervista emerge un quadro che non si può davvero definire roseo…ma volendo vedere il bicchiere mezzo pieno?

Siamo un paese che ha un valore aggiunto molto forte dato da competenza, capacità e visione. Con interventi di snellimento nelle procedure potremmo competere con i porti del Nord ed essere un attore chiave nel Mediterraneo. L’unione di intenti stimolata dalla riforma dei porti, il fare sistema delle diverse categorie è già una realtà; la macchina burocratica non deve bloccare questa spinta verso lo sviluppo.

Ad Ancona chiudiamo il 2019 con i traffici crocieristici che hanno segnato il record di oltre 100.000 passeggeri e nelle merci sia i container che le rinfuse hanno il segno positivo. I numeri quindi già ci sono, e con le giuste condizioni possiamo fare di più.

Cinzia Garofoli

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Pubblicato il
28 Dicembre 2019

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