Livorno e i segnali d’allarme

Vladimiro Mannocci
Da Vladimiro Mannocci, direttore di Ancip e consigliere della Cilp di Livorno, riceviamo il seguente contributo di analisi
LIVORNO – La vicenda ZIM è l’ultimo campanello di allarme per dare soluzione ai problemi essenziali del porto. Del resto il nostro scalo vive da tempo una situazione contraddittoria essendo il porto nazionale con le maggiori potenzialità di sviluppo, ed avendo in questi anni ritardato una azione di programmazione e progettazione utile a rafforzarne i fattori competitivi. Il problema è che se non risolviamo i problemi più urgenti del porto, altri vettori potrebbero fare scelte analoghe a quella di ZIM. In questi anni di fronte alla crisi si è tergiversato pensando che si sarebbero rallentate alcune dinamiche, ed è stato un grave errore di analisi perché era prevedibile proprio l’opposto: era prevedibile che le compagnie di navigazione utilizzassero navi più grandi bypassando i porti di transhipping e andando direttamente nei porti di destinazione finale come il nostro.
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Invece siamo stati fermi e questo ci ha penalizzato. Alcune compagnie di navigazione stanno già pensando di mettere in servizio navi da 8.000 teu e noi non siamo in condizione di accogliere le navi da 6.000 teu. Nessuna banchina del Terminal Darsena Toscana è a -13 m di fondale, come invece sarebbe necessario. Si va dai -9 m dell’accosto 14 A, ai circa –12 m dei rimanenti accosti.
Il servizio di rimorchio a Livorno ha tariffe superiori del 30% rispetto agli altri scali e questo penalizza soprattutto il settore dei contenitori. Spesso la nave spende di più per il servizio di rimorchio rispetto a quello che spende per scaricare e caricare tutta la nave. L’alto costo di questo servizio, essenziale per la sicurezza della navigazione, è una delle criticità costantemente sottolineate dagli armatori. Questo problema deve essere affrontato e risolto senza penalizzare l’azienda che eroga questo servizio e ci sono margini per poterlo fare. Se è vero che questo servizio è essenziale per la sicurezza del porto, una parte minima deve essere pagata indistintamente da tutti i vettori che si servono del porto anche se non utilizzano questo servizio e il rimanente da chi lo utilizza. Sennò è come se facessimo pagare il servizio dei pompieri solo a chi li chiama per spengere gli incendi. L’insufficienza e l’inadeguatezza dei collegamenti ferroviari, è un problema atavico che non può più essere rimandato. Il presidente Gallanti sta affrontando queste emergenze con rapidità e determinazione ricercando finanziamenti, e attivandosi per realizzare le condizioni, come l’accordo con l’Interporto di Bologna, per estendere l’azione di raccordo con il nostro mercato di riferimento che oggi è prevalentemente regionale.
Assetto porto
Oltre a risolvere i problemi infrastrutturali occorre superare la frammentazione operativa, il “porto dei pollai”, che si è prodotta in questi anni, per ritornare a realizzare indirizzi che aiutino la crescita dimensionale e qualitativa delle imprese, attraverso la specializzazione commerciale delle aree portuali. La concorrenza interna è un fattore positivo se viene praticata nel rispetto delle regole, ma diventa una patologia se viene praticata senza rispettare quelle regole che in ogni porto sono alla base delle attività economiche, imprenditoriali e sociali. Dobbiamo anche pensare ad attuare strumenti di premialità a quelle imprese che investono nei processi di innovazione tecnologica e organizzativa. Questo obiettivo passa anche attraverso una politica che valorizzi un continuo adeguamento dei livelli professionali dei lavoratori. Su questo terreno come porto abbiamo ancora molto da lavorare così come dobbiamo accelerare su una maggiore informatizzazione dei processi e una migliore sincronia fra le amministrazioni che operano nei porti. A Genova il livello di informatizzazione complessiva del porto è molto più avanzata della nostra.
Sintermar ambito portuale
Nella vicenda Sintermar/F.lli Elia/Grimaldi più che l’aspetto commerciale prevale quello strategico-istituzionale, perché questa operazione si basa a nostro parere sul disconoscimento di due cardini essenziali della L.84/’94: il primo è che un terminalista non può operare, se non in via del tutto straordinaria, in una banchina pubblica e in un’area pubblica, in forma continuativa, come succede per l’accosto 14 E. La seconda palese illegittimità riguarda il fatto che chi opera nell’“ambito portuale” debba rispettare le norme esistenti, indipendentemente dal fatto che svolga operazioni portuali in aree private o demaniali. A Livorno l’“ambito portuale” è stato individuato nel 2001 con l’approvazione unanime in Comitato Portuale di atti di programmazione sempre vigenti che fanno riferimento al Piano Strutturale del Comune di Livorno. Nel caso specifico questa parte dell’ordinamento e della normativa locale è disattesa perché continua ad essere avviato un soggetto non autorizzato a svolgere alcuni servizi, mi riferisco a CPM. La richiesta di servizio dovrebbe essere fatta dal terminalista. Basta leggersi il decreto ministeriale n° 132 del 2001 che recita: “Sono servizi portuali le attività imprenditoriali consistenti nelle prestazioni specialistiche, che siano complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali, da rendersi su richiesta di soggetti autorizzati allo svolgimento anche in autoproduzione delle operazioni portuali”. In questo caso la richiesta viene fatta da F.lli Elia che non è autorizzato a svolgere operazioni portuali. E’ pittoresco che un operatore abbia l’arroganza di sostituirsi alle Istituzioni locali, Autorità Portuale e Comune, così come sta succedendo in questa vicenda. La norma prevede che il terminalista, debba essere il titolare dell’autorizzazione doganale al recinto di Temporanea Custodia e del Deposito Doganale Privato, debba svolgere la propria attività prevalentemente con il proprio personale, debba essere responsabile nei confronti delle imprese autorizzate a svolgere sia i segmenti di operazioni portuali, sia i servizi accessori e complementari, anch’essi regolamentati e autorizzati dall’Autorità Portuale ai sensi dell’art. 16. Il Terminalista dovrebbe emanare le fatture ai propri clienti e pagare i propri fornitori. Ma qui non è così, perché la concessione della banchina è stata assegnata a Sintermar, che spero sia il titolare doganale, però CPM viene avviata da F.lli Elia che, ci risulta, emana le fatture di Terminal Handling Charge (CHT) ai clienti. Allora chi è il terminalista Sintermar che è autorizzata, o Wintermar o F.lli Elia che non lo sono? A Livorno e in Italia non esistono situazioni analoghe e siccome di aree private in porto ce ne sono anche altre, se va avanti questo concetto si creeranno due diversi porti all’interno dello scalo: uno “pubblico” dove gli operatori devono rispettare delle regole e dove l’Autorità Portuale ha funzioni di controllo, e uno “privato” dove le norme non contano e dove l’Autorità Portuale non esercita le sue prerogative di indirizzo, programmazione e controllo delle attività.
Colonizzazione genovese?
Una visione localistica nella gestione portuale la ritengo un elemento negativo e miope. I porti sono per loro natura ambiti internazionali per cui o siamo aperti a ciò che accade nel mondo o siamo destinati al progressivo isolamento. Cercare di intrecciare il fatto che il presidente Gallanti sia genovese con la nostra partnership nel Terminal Darsena Toscana con Gruppo genovese, teorizzando con ciò una presunta colonizzazione genovese nel nostro scalo lo trovo assurdo. In TDT abbiamo scelto un partner genovese con il quale stiamo lavorando in piena sintonia per sviluppare il terminal. Prima di loro avevamo come parnters Contship, controllata da Eurokai, che è tedesca. Allora non dovevamo fare accordi con Contship per il timore di una colonizzazione tedesca? Con questa logica dovremmo privilegiare solo partenariati locali; nell’era della mondializzazione non mi sembra il massimo di apertura al nuovo. Chi vive e opera nei porti sa che questi timori sono infondati, anche perché si valutano le idee ed i progetti imprenditoriali, o i programmi istituzionali per i loro contenuti. Non le nascondo che trovo desolanti i rumors su una possibile colonizzazione o condizionamento genovese che vengono espressi, trasversalmente, negli ambiti politici ed imprenditoriali livornesi. Queste teorie o sono il frutto di una ottusità culturale e di una scarsa conoscenza delle dinamiche portuali, o sono prodotti ad arte per distogliere l’attenzione dai veri problemi da affrontare. Sicuramente sono in contraddizione con gli obiettivi di riuscire ad attrarre sul territorio soggetti imprenditoriali di caratura nazionale ed internazionale.
Vladimiro Mannocci
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