Il cargo ferroviario resta in caduta libera
Meno del 6% delle merci su rotaia, e intanto c’è chi propone (gli austriaci) treni per la Cina
TRIESTE – Merci dall’Italia alla Cina e viceversa non solo in nave ma anche in treno. Sembra una provocazione, visto lo stato comatoso del cargo ferroviario in Italia. Eppure c’è un operatore austriaco, Far East Longbridge, che in collaborazione con il terminal triestino Fernetti e con il gruppo Zanardo ha lanciato l’iniziativa, tempi di consegna, door to door, meno che con la nave. I costi sono ancora leggermente superiori, ma con il recente rincaro dei noli dovuto alla crisi del petrolio, non sembra che la forbice sia destinata a rimanere come adesso, a tutto vantaggio del treno.
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Certo, si tratta per il momento di un servizio che sembra più che altro un esperimento. Ma è indubbio che, aspettando il tanto sospirato (e ancora fumoso) piano nazionale per la logistica, che il sottosegretario Giachino va promettendo a breve a ogni piè sospinto, sono gli operatori europei d’oltralpe a mangiarsi fette del mercato italiano. E’ il caso di SBB Cargo, da anni attivo tra Lombardia e porti del Nord Europa, o anche dei servizi francesi e belgi. E’ forse per questo motivo che il recente annuncio dell’ad di Trenitalia Mauro Moretti di un rilancio del cargo nel nuovo piano industriale 2011-2015 ha raccolto più che altro scetticismo. Moretti l’ha promesso, ma a condizione che lo Stato s’impegni a dare una mano; ed ha promesso comunque che gli interessa il cargo sulle lunghe distanze, in particolare la pingue tratta che collega la Lombardia con i porti del Nord Europa. In sostanza, quello che altri fanno da tempo, e sanno fare bene; mentre sulle tratte nazionali, dove maggiore ci sarebbe bisogno per limitare lo sproporzionato ricorso ai Tir, Trenitalia al massimo conta di fare alleanze con operatori locali, attraverso la solita Serfer.
E proprio Serfer sembra a sua volta tutt’altro che intenzionata a rischiare: opera a Savona, per esempio, con il gruppo Gavio, ma su altri scali si è rifiutata di spingere. E addirittura in alcuni casi ha disdetto precedenti impegni. Forse in attesa che uno degli operatori marittimi più dinamici, il gruppo Messina, concreti davvero il suo progetto più volte riferito dai bene informati di una “Freccia Arancio” dedicata solo alle merci.
Qualcosa peraltro dovrà pur cambiare. Per quanto l’Italia sia geograficamente un paese difficile per il trasporto ferroviario – stretto e lungo, con molte gallerie e binari ancora risalenti ai primi del novecento – il trasporto ferroviario dovrebbe avere più incentivazione che non quello con i camion, che intasano strade ed autostrade con costi sociali enormi. Invece siamo al 6% su ferrovia rispetto al totale dei trasporti, contro una media europea del 17,5%. Morelli qualche ragione ce l’ha: negli ultimi anni il governo italiano ha stanziato a sostegno dei Tir 750 milioni di euro contro circa 30 milioni per le ferrovie. E Moretti (ma anche i suoi futuri concorrenti, come Montezemolo) s’è buttato sull’alta velocità per i passeggeri, che rende e fa figura. In attesa, magari, che si sveglino le Regioni, uniche forse a poter dire qualcosa di nuovo e concreto sul piano del trasporto locale su rotaia. Il primo segnale è arrivato dall’Emilia-Romagna con la decisione di creare una società indipendente per il trasporto ferroviario cargo la FER in joint-venture con Contship. La Toscana ci sta ponzando sopra, anche se sembra aver fatto una mezza marcia indietro rispetto ai piani dell’allora assessore Riccardo Conti che voleva la “alta capacità” tra Piombino, Livorno e il nodo di Firenze. Tutto rinviato al grande piano nazionale della logistica. Sperando che non sia un’altra montagna che partorisce il topolino.
A.F.
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