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Il gigantismo navale minaccia di declassare la portualità italiana

Allarmanti analisi anche nelle ultime assemblee di settore – Fondali e banchine sono inadeguati quasi ovunque – Marcucci: solo “local ports”?

TRIESTE – Non poteva mancare la grande coreografia delle grandi occasioni alla presentazione di “Favolosa”, l’ultima maxi-unità della flotta Costa Crociere. E tutti a vantarne i 290 metri di lunghezza, i 13 ponti, le circa 5.000 persone che ospita tra personale e turisti. Il gruppo Costa ha fatto giustamente rilevare che è una nave tutta italiana malgrado l’armamento appartenga ormai agli americani: e che è stata costruita a Porto Marghera da Fincantieri, che ribadisce i propri primati nel campo.

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Eppure “Favolosa” è anche l’ennesimo, preoccupante segnale che si sta correndo sempre più verso il gigantismo navale, a fronte di buona parte dei porti italiani rimasti fermi a fondali inadeguati e a banchine rimediate. E se alla fine le navi da crociera sono quelle che ne risentono più marginalmente – sono navi sviluppate in larghezza per tenere il pescaggio alla portata degli scali del Mediterraneo (che è ormai diventato il primo “lago” da crociera in assoluto) – preoccupa il gigantismo che sta invece proliferando nel settore dei containers, con navi in costruzione da 15 mila e anche da 18 mila Teu: che di fondali hanno bisogno per sviluppare tutta la loro potenzialità e per sfruttare le economie di scala che stanno alla base di queste costruzioni.

Del gigantismo delle portacontainers si sta parlando proprio in questi giorni in molte sedi, ma con diverse angolazioni. Il recente intervento a Livorno del ministro dei Trasporti Altero Matteoli (al dibattito sui dragaggi) ne è esempio significativo: il ministro ha dimostrato che il suo dicastero è perfettamente consapevole della corsa al gigantismo, ha coniugato la cosa nell’ambito di una prospettiva di crescita esponenziale dei traffici nel Mediterraneo (un raddoppio entro la fine dei prossimi tre anni) ma ha dovuto riconoscere che poco o niente è stato fatto ad oggi per mettere le infrastrutture portuali in condizione di ospitare questi giganti. Peggio ancora sul tema dell’intermodalità: 15 mila teu da sbarcare in un porto italiano significa una terrificante fila di Tir per smaltirli, visto che le ferrovie italiane sono assai poco interessate al cargo ma in compenso frenano con mille cavilli l’alternativa delle ferrovie cargo europee.

Insomma, come è stato detto anche nell’assemblea annuale di Fedespedi a Milano, il sistema logistico nazionale sta rischiando grosso. E anche dalle ultime decisioni prese dal governo non traspare alcun intervento significativo per rimettere in moto la macchina della logistica. Tanto che il giudizio espresso dall’amministratore di Contship Italia Nereo Marcucci nella stessa assemblea – i porti italiani rischiano di diventare quasi tutti, con solo rarissime eccezioni – soltanto dei “local port” – più che un esercizio di pessimismo è apparso come una amara ma veritiera previsione.

A.F.

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Pubblicato il
6 Luglio 2011

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