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Riparazioni e la Manna dal Cielo

LIVORNO – Piatto ricco, mi ci ficco. Se ne parla tanto in questi giorni, delle riparazioni navali: e il motivo è trasparente, la crisi dei cantieri navali di Sestri, che sta mettendo alla frusta Fincantieri ma anche tutto il cluster cantieristico italiano.

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A scoperchiare il calderone è stato proprio un armatore, Alcide Rosina di Premuda che nel ricevere il premio Manzitti (internazionalizzazione dell’economia, suo impegno pluriennale) ha detto papale papale che per la grande cantieristica italiana i giochi sono finiti, mentre le realtà più efficienti dovrebbero buttarsi sulle riparazioni navali. Sestri compreso. Per il resto, tutto il comparto delle costruzioni navali mercantili “va considerato perduto”.

Detto da lui, è un giudizio da non trascurare: Rosina è uomo di larga esperienza internazionale e di vedute altrettanto chiare. Peraltro sulla realtà della cantieristica italiana sfonda una porta aperta: ci rimangono solo le navi da crociera, e anche su queste il futuro non è particolarmente roseo, lo dicono tutti. Ma le riparazioni navali sono davvero questa “ultima spiaggia” che può salvarci? Sono davvero il “piatto ricco” sul quale buttarsi?

E’ notorio che su questa speranza si muovono in molti: a Genova si spinge per il sesto bacino, che difficilmente servirà a costruire, mentre si spera che serva a riparare. Poi c’è la “telenovela” livornese, del ripristino del super-bacino da 350 metri diventato ormai un rudere (occorrono 20 milioni di euro, dice il Rina, per rimetterlo in efficienza e rispettoso delle nuove normative). A Napoli la lunga vertenza sui bacini di riparazione ha spinto uno dei maggiori imprenditori a delocalizzarsi a Messina e a Malta, non senza problemi. Insomma, tanto arrosto sul fuoco, oppure solo fumo?

Il fatto è che tra gli armatori non tutti concordano con Rosina che le riparazioni siano davvero la soluzione. “Per le mie navi che operano in Mediterraneo – sottolinea Nello D’Alesio dell’omonimo gruppo armatoriale – il riferimento delle riparazioni è da tempo la Turchia: costi enormemente inferiori, burocrazia altrettanto, qualità del lavoro ottima, tempi rispettati alla tedesca”. E per le navi più grandi? “Quelle che viaggiano con il Far East non vengono certo in Italia, delle altre ho scarsa esperienza – taglia corto – ma non vedo grandi aperture”. E D’Alesio è una delle poche flotte che mantiene orgogliosamente tutte le navi, senza eccezioni, sotto bandiera nazionale.

Certo, tra le posizioni di Rosina e quelle di D’Alesio ci sono grandi differenze. Però dovrebbero servire ad affrontare la programmazione di un comparto così vitale senza sogni pindarici e senza – qualche sospetto circola – speranze di poter mungere ancora una volta la “vacca” degli interventi pubblici. I tempi non sono più quelli di una volta. E bisognerebbe davvero farsi una domanda: chi vuole bacini nuovi (o rinnovati) è disposto a finanziare gli interventi o aspetta ancora la Manna dal nostro sgangherato Stato?

A.F.

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Pubblicato il
30 Novembre 2011

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