Servirà costruire ben due porti per la piattaforma di Venezia
Anche a terra, in area Marghera, dovrà essere realizzata ex novo una struttura per i contenitori – I silenzi (imbarazzati?) del governo centrale e regionale
ROMA – La vicenda dello “scippo” al Mose dei 100 milioni (per ora) destinati al terminal offshore di Venezia continua a tener banco a livello di governo, con giustificazioni più o meno condivise dalle varie forze politiche. E in attesa che il blitz varato al Senato trovi l’annunciata opposizione nella discussione alla Camera – e relativa commissione – emergono nuovi dettagli del progetto stesso. Che si scopre essere composto da ben due porti containers: quello offshore, a 8 miglia dalla costa, e un secondo terminal, di tipo tradizionale, in terraferma, nella zona di Marghera, (vedi foto di Scovavento) dove dovrebbero confluire con le chiatte o in galleria sottomarina i containers sbarcati al largo.[hidepost]L’idea di due porti nuovi, da finanziare con 1 milione e mezzo di euro in 5 anni, quando nella stessa area dell’Adriatico esistono almeno altri due grandi porti containers in piena crescita (Trieste e Koper) sembra ai più pazzesca. Oltre alla rottura di carico tra le due componenti del progetto Venezia – almeno 200 euro a contenitore, hanno calcolato gli esperti, in un’area dove la concorrenza si gioca sul filo dei 10 euro a teu o poco più – sono i forti investimenti necessari a far discutere, in tempi in cui la stessa UR sta tagliando drasticamente gli investimenti futuri sulle infrastrutture. Ma sembra che a livello di governo nazionale – e anche di governo regionale – la faccenda interessi poco o niente. A Roma infatti l’unico che si è pronunciato ad oggi, sia pure con imbarazzo, è il viceministro Ciaccia, che ha come consulente sui porti il presidente dell’Authority di Venezia Costa (e quindi si capisce la sua posizione). In Regione invece ancora nessuno ha parlato chiaro, come peraltro non si è ancora espressa in pieno la stessa Autorità portuale di Trieste. E per la Regione siamo sempre all’appello senza risposta lanciato una decina di giorni fa da Debora Serracchiani. Ve lo ricordate?
“Il presidente Tondo rompa il suo inaccettabile silenzio sulla vicenda dei fondi all’off shore di Venezia”. Lo afferma la candidata alla presidenza del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, dopo che è stato votato dalla commissione Bilancio alla Camera un emendamento che assegna 100 milioni per il terminal off shore di Venezia.
Secondo Serracchiani “Tondo deve prendere immediatamente l’iniziativa e contattare immediatamente tutti i nostri parlamentari e concordare con loro una linea comune a difesa del porto di Trieste, così come deve sollecitare un più attivo e sinergico rapporto con l’Autorità portuale di Trieste. Il Friuli Venezia Giulia ha bisogno di far sentire che esiste e che non si possono prendere decisioni di questo genere fidando sull’indifferenza della nostra regione; è incredibile – sottolinea – che debba essere il presidente della Liguria Burlando a denunciare il metodo con cui è stata favorita Venezia a danno di tutti gli altri”.
“Abbiamo ripetuto che serve una strategia per la portualità dell’alto Adriatico – aggiunge Serracchiani – e invece sembra siamo di fronte alla vittoria delle lobbies, dei colpi di mano e degli interessi locali. Venezia si fa i fatti suoi, il porto di Ravenna esce dal Napa, la Slovenia pensa a collegare Capodistria al corridoio Adriatico Baltico, il porto di Trieste è trascurato dal Governo e dalla Regione: Rotterdam e Amburgo possono stare tranquilli, continuando così – conclude – non devono temere la nostra concorrenza”.
E sulle polemiche relative all’area del nord Adriatico interviene anche l’associazione degli interporti.
E’ dei giorni scorsi – scrive il presidente Ricci dell’Interporto di Bologna – la notizia che il tracciato del Corridoio Baltico-Adriatico potrebbe essere modificato e deviato verso la Slovenia con la creazione di un ramo indipendente che dovrebbe collegare Graz – Maribor – Lubiana – Capodistria.
“E’ un’opzione che intaccherebbe il futuro – continua la nota – e il ruolo degli scali italiani su cui il corridoio impatta allo stato attuale e del porto di Trieste in particolare, così a ridosso del porto di Capodistria da cui dista una manciata di chilometri. Ha ragione l’onorevole Debora Serracchiani nel ritenere che chiedere un ramo indipendente del Corridoio non sarebbe un modo di fare sinergia, ma di alimentare insani processi di distorsione competitiva.
“Nella mia duplice funzione di presidente dell’Unione Interporti Riuniti e di presidente di Interporto Bologna SpA – continua la nota – ritengo sia fondamentale impedire questa diramazione e confermare il network prioritario dell’Europa (10 core network corridors) così come è ad oggi, ostacolando qualsiasi tentativo di personalizzazione infrastrutturale per fini non comunitari.
“L’invito e l’auspicio è che anche le forze politiche italiane competenti e attive nelle materie che l’argomento in questione tocca si adoperino per sostenere questa posizione”.
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