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Dibattito al Propeller di Venezia su NAPA e offshore di Costa

I dettagli sul mega-progetto della piattaforma al largo di Malamocco – Perplessità e speranze

Paolo Costa

VENEZIA – Il NAPA continua ad infiammare il dibattito. L’associazione è nata a suo tempo con l’obiettivo di armonizzare ogni attività dei quattro porti storici oltre ai cosiddetti “minori” appartenenti ai tre stati membri dell’UE (Italia, Slovenia e Croazia) per difendere la sua posizione competitiva rispetto ai gateway portuali europei concorrenti. E il progetto di piattaforma offshore (terminal petrolifero, container e porto rifugio dotato di gru di ultima generazione Ship-to-Shore) sostenuto dal presidente dell’Autorità Portuale di Venezia professor Paolo Costa, fa crescere ancor di più lo scontro sia a livello politico che imprenditoriale. Un affollato meeting, aperto al pubblico, alle associazioni di categoria e agli operatori del trasporto di tutto l’alto Adriatico, organizzato dall’International Propeller Club Port of Venice presso l’hotel Best Western di Mestre, ha fatto emergere luci ed ombre su un progetto faraonico da oltre 3 miliardi di euro che tuttavia potrebbe rappresentare, secondo Costa quando e se realizzato, l’unica “rotta” percorribile per alimentare quel grande “multi porto” con gestione coordinata dell’Europa sud orientale.
[hidepost]“Tra postulati, incognite, costanti e variabili il progetto NAPA e la piattaforma offshore (45° 17’ N e 12° 30’ E) rappresentano un “teorema” ancora tutto da dimostrare non tanto dal punto di vista progettuale quanto dall’impatto che potrà avere nel mondo dello shipping – ha affermato aprendo i lavori Massimo Bernardo presidente del “port of Venice”. L’ultima parola spetta infatti alle grandi compagnie di navigazione oggi veri protagonisti e decisori del traffico mondiale”. A fronte di un sempre maggiore “gigantismo navale” e di un prevedibile aumento dell’interscambio commerciale i porti dell’alto Adriatico debbono proporsi come un grande unico gate marittimo (n.d.r. “multi porto” lo definisce il progetto dell’AP di Venezia) nel quale la piattaforma offshore al centro del Golfo di Venezia (4,2 km. al largo della bocca di porto di Malamocco) dovrebbe fungere da catalizzatore per full container (n.d.r. “Mama Vessel”) e petroliere di grande stazza mentre sbarco e imbarco – senza rotture di carico assicura il relatore – avverrebbero grazie ad un servizio feeder con navette già progettate che trasporterebbero nei porti di destino i milioni di container previsti per il 2030, (ndr Dai risultati del “NAPA Development Potential Scenario 2030 del MDS Transmodal si legge che le variazione del mercato prevedono per i porti del Nord Adriatico + 227% – per raggiungere i 5.9 MTEU nel 2030; una crescita della quota di mercato europea del Nord Adriatico dal 5,5% all’11,3% mentre i porti del nord Europa mantengono il 55% delle quote di mercato, ma il sistema di trasporto europeo risulta più bilanciato) il feederaggio avverrebbe con containers stoccati in “cassette” (n.d.r. ogni “cassette” delle dimensioni di 58 x 26 x 5,75 metri, porta fino a 384 TEU) stivate nella “navetta” semiaffondante portachiatte di tipo lash.
Un progetto ambizioso dunque che tuttavia non ha mancato di suscitare tra i tanti imprenditori dei vari porti interessati alcune perplessità sia dal punto di vista tecnico che economico malgrado la brillante relazione del dottor Stefano Bonaldo dell’Autorità Portuale veneziana in sostituzione del presidente Paolo Costa, assente per improvvisi, inderogabili impegni.
In realtà nella lunga relazione che con grafici e slides ha spaziato dallo scenario marittimo globale e le strategie della UE passando per le “scelte necessarie oggi per garantire il futuro del NordEst si dimostra solo come con la realizzazione di questo grande progetto si potrebbero contrastare i grandi porti del northern range dando all’Adriatico un nuovo, grande ruolo e opportunità per l’Europa.
In particolare – ha affermato Bonaldo riferendosi al porto di Venezia – “il sistema offshore-onshore non è un porto tradizionale di transhipment ma è un sistema disegnato in modo da poter massimizzare velocità di scarico/carico delle navi oceaniche e minimizzare i tempi di riconsegna la terra; svincolare la banchina dalle operazioni di riordino, controllo, deposito e rispedizione dei contenitori e trasferire subito il container in aree retroportuali, spesso distanti Km. dalla costa, per raggiungere superfici di stoccaggio e nodi logistici adeguati, pratica questa condivisa dagli operatori portuali più efficienti”.
Nuovi e rivoluzionari scenari, dunque, che lasciano comunque ancora molti dubbi. “In un momento così difficile per la nostra economia – ha concluso il presidente Massimo Bernardo – nel quale si registra quasi quotidianamente con la delocalizzazione la fuga delle nostre aziende verso Paesi più accoglienti dal punto di vista fiscale e del costo della manodopera, la desertificazione del tessuto produttivo di casa nostra appare nettamente in rotta di collisione con lo stretto rapporto che i nostri porti dovrebbero sostenere con proprio hinterland di riferimento. In questo contesto tante sono le voci che denunciano le varie situazioni; da quella di Assoporti a quella di Federagenti e Fedespedi. Ognuno continua per la propria strada non riuscendo a fare sintesi comune in quel complesso “cluster” fatto di infrastrutture, strutture, vettori, imprese di servizi ecc. che dovrebbero operare all’unisono e a livello sistemico in quella tanto evocata “coopetition” (concorrenza e competitività) vero punto focale del progetto NAPA”.

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Pubblicato il
12 Febbraio 2014

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