“Siluro” della Serracchiani a Costa sulla piattaforma offshore di Venezia
Parlando della riforma portuale a Mestre, la presidente del Friuli ha bocciato il progetto “immaginifico” richiamando il governo alla concretezza – L’intervento di Marina Monassi e le accuse a Koper di “barare sulle regole”

Debora Serracchiani
MESTRE – Spazio agli investimenti privati, scelte strategiche per gli scali e sfruttamento delle strutture esistenti, già in grado di accogliere i previsti aumenti di traffico. Questo il futuro dei porti italiani e di quelli nord adriatici in particolare, secondo le conclusioni giunte a Mestre nell’ambito di un convegno organizzato dal Pd, che ha visto sul tavolo dei relatori alcuni dei politici di maggioranza più impegnati a riformare la legge n. 84 del 1994.
Una riforma di legge che avrebbe dovuto trovare posto già nel decreto Sblocca Italia, ma che per qualche ragione è stata nuovamente procrastinata. “Non chiedetemi perché tutto ciò non è finito all’interno dello Sblocca Italia, mi riservo di non rispondere” ha detto nel suo intervento conclusivo la presidente del Friuli Venezia Giulia, nonché vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani, dopo aver elencato ciò che si vuole fare per rilanciare l’economia legata alla portualità.
“Ci sono dei punti essenziali da trattare immediatamente: il Piano dei porti e della logistica con il riordino della governance per le Autorità portuali, le semplificazioni per escavi e dragaggi e l’autonomia finanziaria per le stesse Authorities.
[hidepost]E poi – ha aggiunto Serracchiani – non può più funzionare che uno ottiene finanziamenti solo perché è più bravo a muoversi tra i ministeri. Bisogna avere il coraggio delle scelte e va rammendato l’esistente, senza cose immaginifiche”. A pochi in sala è sfuggito il riferimento, nell’ultima parte del passaggio, allo studio di piattaforma offshore che Paolo Costa, ex ministro e presidente dell’Autorità portuale di Venezia, vorrebbe realizzare al largo della costa veneta.
Tesi, quelle della Serracchiani, sostenute poco prima anche da Fabrizio Zerbini, manager del Gruppo Maneschi, chiamato in rappresentanza del Porto di Trieste. “Manca in Italia una programmazione portuale e interportuale. Si deve attuare la politica delle scelte – aveva detto Zerbini – e si devono convincere i privati ad investire”.
L’apertura dei lavori era toccata proprio a Paolo Costa, che aveva parlato di “convenienza collettiva” per la realizzazione del progetto di piattaforma offshore (3,5 miliardi di euro di costi complessivi), riferendosi agli altri scali dell’Adriatico. Subito dopo quello di Costa l’intervento di Galliano di Marco, alla guida dell’Authority di Ravenna, che ne ha avute per tutti. Dallo specificare che si parla tanto di container ma che l’86% del traffico merci non prevede questo tipo di stoccaggio alle bacchettate, senza mai nominarla, per la presidente dell’Authority triestina, Marina Monassi (“Siamo alla follia, io se non mi fossi trovato d’accordo con il mio sindaco me ne sarei andato”.), per proseguire con le accuse al porto sloveno di Capodistria (“Bara sulle regole. I Controlli sanitari sono fatti in due ore, da me ci possono volere 10 giorni. Ho minacciato Capodistria di andare dagli avvocati”) e concludere con la piattaforma offshore di Venezia: “E’ un project financing, ma quanto ci metterebbero i privati? Ve lo dico io, neanche un euro”.
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