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Alcune riflessioni sul futuro “nascosto” dell’attività portuale

LIVORNO – Premetto che non è per “malattia” professionale che ritengo che l’entrata e l’uscita delle merci dal nostro territorio (Italia) sia dipendente dalle formalità doganali; infatti è l’attuazione del “momento doganale” che da il via alla svariata movimentazione delle merci.
[hidepost]Le mie considerazioni derivano dalla politica portuale che sempre di più considera giustamente il luogo porto e aeroporto come “l’ombellico” dell’intero corpo della movimentazione delle merci.
Sono previsti realizzazione di interventi quali ampliamento di banchine e piazzali per il deposito delle merci soprattutto containers, dotazioni di nuovi e più efficienti mezzi di movimentazione e nuove semplificazioni doganali per accelerare la partenza delle merci dai siti di arrivo.
Chi oltre il sottoscritto sarebbe contrario a questi nuovi indirizzi? Ritengo nessuno se questo fosse chiaramente l’indirizzo prefissato.
Ho parlato all’inizio di “futuro nascosto”, e pertanto è bene evidenziare che come “semplificazioni doganali” si è strumentalizzato il progetto dei “corridoi logistici” trasformandoli in “corridoi doganali” facendo intendere ai politici (non addetti ai lavori) che vi era necessità di liberare le aree portuali per decongestionare i porti e che i containers all’atto dello sbarco venivano caricati sui mezzi di trasporto ferroviari e camionistici per essere inoltrati immediatamente a destino.
Purtroppo niente di tutto questo è necessario e possibile; i porti sono da anni sottoutilizzati sulle loro aree sarebbe possibile indire “gare automobilistiche”, lo sbarco non può avvenire diretto sui mezzi di trasporto ma necessita di uno stoccaggio sui piazzali per lo smistamento ed il successivo ricarico.
Inoltre dovrebbe avverarsi “il momento doganale” col compimento delle formalità doganali (importazione o transito con emissione di T1).
Questa fase non so se per “magia o convenienza”dei soliti soggetti è stata, attuata per “prova”, superata da una circolare della Dogana che permette l’inoltro dei containers alla Dogana di destino senza emissione del T1 e/o altro documento doganale, lasciando il controllo durante l’itinerario ad una società privata (UIRNET) nata con finanziamenti europei si dice più di 70 milioni di euro che gravano ora sul bilancio dello Stato e dopo certamente sugli operatori per circa 200 euro più di quanto avviene attualmente (20/30 euro) con l’emissione del documento doganale (T1).
Da non sottovalutare che le normative comunitarie non consentono l’esenzione delle documentazione doganale, quindi a seguito di ricorsi che certamente avverrano l’Italia sarà “ messa in mora” con conseguenze economiche da corrispondere.
Infine la “ciliegina” di questa invenzione clientelare produrrà diminuzione di movimentazione di merci ai porti con creazione di disoccupazione tra i lavoratori addetti alla movimentazione, mancanza di utilizzo di deposito di temporanea giacenza, impiego di mezzi di sollevamento e impiego di autotrasportatori locali, ed anche perché no personale espletante le formalità doganali di transito che come per incanto sono sparite.
E tutto questo per favorire alcuni imprenditori. che forse perché “più simpatici “sono riusciti ad ottenere dai politici ignari e dalla Dogana queste per loro positive richieste economiche.
Ma tutto quanto evidenziato genera posizioni dominanti nel settore logistico; infatti i contratti di trasporto internazionali saranno da porto d’imbarco a magazzino di destino con “sorpasso” degli attuali soggetti logistici, ma con le stesse fasi di movimentazione che genereranno i relativi costi (nolo mare, spese sbarco, trasporti, carico e scarico, adempimenti doganali ecc.) che potranno in regime di monopolio essere ancora più alti.
Questo non viene opportunamente considerato, come se si realizzasse un pupazzo di neve progettando ed impiegando i mezzi più idonei senza considerare che dopo il periodo invernale verranno altre stagioni che comprometteranno quanto dispendioso è stato fatto.
Chiedo semplicemente di considerare quanto evidenziato, cercando almeno una volta di recepire anche quanto esposto da uno dei tanti addetti ai lavori, che cercano di valorizzare quel lavoro che tutti dicono essere il bene democratico più importante, ma che viene usato da coloro che contano solo per “riempirne la bocca”.
Giuseppe Benedetti

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Pubblicato il
22 Agosto 2015

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