Le trivelle i trivellatori i trivellati
LIVORNO – Lo premetto: so bene che mi sto addentrando in un terreno minato, dove la politica, gli affari e il lobbismo impongono regole non sempre bene accette da chi vuole e deve fare libera informazione.
[hidepost]Però questo nostro giornale si è da sempre impegnato a capire e far capire – con tutti i nostri limiti, ovviamente – quanto succede nel mondo dell’economia marittima e portuale. Così oggi ci troviamo a fronte di un intreccio epocale di “fuoco amico” (se vogliamo usare un’ironia) contro i temi che visti al di fuori dei dietrismi sembrerebbero l’essenza delle normali problematiche in un paese alla ricerca di una strada per rilanciare l’economia e il suo cluster marittimo.
Esco subito dal vago. Tra pochi giorni il paese è chiamato a un referendum sulle “trivelle” che appare, come minimo, un cedimento alla demagogia dell’ambientalismo più talebano. Ci è stato detto da una parte che si minacciano catastrofici inquinamenti marini e che petrolio e gas sono ormai obsoleti: affermazioni per lo meno discutibili alla luce dell’economia reale. Dall’altra parte, invece di spiegare perché è opportuno avere risorse energetiche proprie invece di doverle tutte acquistare dall’estero, si è fatta una campagna di disinformazhia, limitandosi a invitare al non voto. Brutte posizioni entrambe: perché se si giudicava non adatto un referendum al grado di preparazione del volgo (se non dell’inclita) chiamato a votare, forse sarebbe stato meglio preparare la gente con solidi argomenti.
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Ma le trivelle stanno diventando un niente rispetto alla guerra scatenata sui temi del petrolio con l’inchiesta di Potenza, che ha già disarcionato una ministra e sta puntando a disarcionare anche Delrio. In questa inchiesta sembra esserci un tale incrocio di interessi di sottogoverno (guerre politiche) da far sparire il vero tema, quello della corruzione, o almeno dello scambio di favori. Ma senza volere (né potere) entrare nell’intreccio di serpi che caratterizza la circostanza, ci preoccupa leggere che un ramo dell’inchiesta riguarderebbe le “illecite pressioni” per la nomina di un commissario governativo all’Authority di Augusta. Perché se le pressioni politiche e partitiche (ma non solo) nel prossimo gioco delle presidenze (e quindi in quello attuale dei commissario) sui porti venissero considerate davvero illecite, temo che non si salverebbe una sola delle quindici Autorità di sistema portuale in corso d’opera. Con annessi e connessi manuali Cencelli.
Diverso è se c’entrano fattori di mafia, o comunque di bande d’affari. Ma così come appare ad oggi, il supposto verminaio di Augusta sembra prima di tutto lo specchio deformante di quello che si agita intorno a una parte almeno dei futuri sistemi e della loro governance.
Dio ci salvi dai sospetti infondati e dal far di tutt’erba un fascio. Ma l’antica saggezza ci ricorda che dove c’è fumo, alla fine si scopre spesso almeno un po’ d’arrosto. E’ speranza ingenua di noi ingenui una generale, approfondita, anche rottamatoria “trivellata” che davvero faccia pulizia nel profondo e ci indirizzi verso un Paese che non sia quello di Lucignolo promesso a noi Pinocchi?
Antonio Fulvi
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