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Tir a rischio: autisti esteri senza formazione?

Maurizio Longo

GENOVA – Rappresentano circa il 20% della forza lavoro alla guida nelle imprese di autotrasporto italiane, ma il coinvolgimento di patenti estere nel totale degli incidenti che vedono protagonisti mezzi pesanti supera ampiamente il 40%. A denunciare una situazione di rischio ormai costante sulle strade italiane, frutto probabilmente anche della sperequazione nei processi di formazione professionale, è Trasportounito.
I dati che scaturiscono da un test informativo sulle incidentalità dei mezzi pesanti presentano dati allarmanti: in netta controtendenza rispetto agli impegni che l’Italia si era assunta in tema di sicurezza stradale, gli incidenti mortali sono in crescita sia nella viabilità ordinaria (1.100 circa l’anno), sia nell’infrastruttura autostradale (circa 200 l’anno); nel 9% dei casi sono coinvolti i veicoli pesanti; e nel 60% di questi incidenti mortali è chiamata in causa e accertata una responsabilità dell’autista del Tir.
[hidepost]Secondo Trasportounito la differenza di attenzione alla guida di un mezzo pesante fra il conducente italiano e quello estero, (e in prevalenza si tratta di autisti dell’est europeo) è conseguenza (oltre che di differenti culture e sensibilità sul tema della sicurezza) al gap esistente in tema di preparazione professionale. Su questo versante infatti esiste una vera e propria disparità di trattamento fra i conducenti italiani e gli autisti esteri assunti da imprese italiane e che viaggiano sulle nostre strade.
Le disposizioni comunitarie vigenti prevedono che i conducenti dei mezzi pesanti oltre a ottenere la patente di guida debbano sottoporsi a un esame per ottenere un’abilitazione denominata “Certificato di Qualificazione del Conducente”. Mentre in Italia, per sostenere l’esame (in Italia piuttosto severo) è stato imposto un corso di formazione di 280 ore (140 ore ridotto nei casi ove possibile), con un costo a carico dell’aspirante autista di qualche migliaio di euro, in altri Paesi comunitari la disposizione comunitaria si traduce nel semplice superamento dell’esame, molto più facile; si tratta quindi di una procedura meno rigida rispetto a quanto avviene in Italia, molto meno costosa e più rapida.
Secondo Trasportounito, la soluzione per ovviare a queste differenze, ma specialmente per incidere sui livelli di scurezza delle strade italiane, potrebbe essere quella di obbligare tutti i conducenti, non in possesso della CQC italiana, a frequentare un corso annuale di formazione sulla “Sicurezza Stradale”.
E in tema di sicurezza si sta delineando un altro pericolo: i veicoli provenienti da paesi extra comunitari dovrebbero essere sottoposti alle norme dell’accordo AETR per quanto concerne in particolare i tempi di guida e riposo. Nei fatti non accade e nell’Unione europea, i meccanismi di controllo sugli “equipaggi extra-comunitari” sono pressoché inesistenti.

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Pubblicato il
14 Dicembre 2016

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