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Demolizioni navali e ritardi dell’Italia pressioni per adeguarsi alle norme UE

Un’immagine emblematica delle demolizioni navali ancora in atto nel terzo mondo.

BRUXELLES – Forse si sblocca un altro degli assurdi che stanno ritardando per l’Italia e le sue aziende la partecipazione al business delle demolizioni navali. Esiste un elenco europeo delle imprese abilitate a demolire le navi obsolete, redatto dalla Commissione UE incaricata: ma mentre si è aperta la possibilità – molto contestata non solo dalle imprese italiane – di aprirne l’iscrizione anche a paesi terzi, ritarda ancora l’adesione dell’Italia a tutte le richieste (molto stringenti) della UE per essere iscritti. Morale: siamo in ritardo pesante.

A parziale correzione dell’apertura ai paesi terzi, la commissione UE ha precisato – riportava qualche tempo fa lo studio legale Mordiglia di Genova, specializzato sulle normative marittime UE – “che l’iscrizione nell’elenco europeo di un impianto di riciclaggio di navi di un Paese terzo è subordinata al rilascio di un apposito attestato da parte di un verificatore indipendente, il quale procederà in tal senso soltanto a seguito di ispezioni ad hoc condotte sul luogo in cui sorge il cantiere e sempre che riscontri la piena conformità dell’impianto considerato ai requisiti indicati dal Regolamento”.

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A livello statistico, come rilevato dal segretario generale della commissione UE Verhoeven, si registra che nel 2016 circa 150 navi porta-container sono state inviate alla demolizione. L’elenco dell’Unione Europea, per via dei rigorosi vincoli imposti ai cantieri in termini di lunghezza e pescaggio delle navi da smaltire, permetterebbe il riciclaggio soltanto di 16 delle predette navi porta-container, vale a dire soltanto di quelle di minor dimensione. Non si capisce bene se le altre finiranno come nella foto in prima pagina su questo giornale, cioè sulle spiagge del terzo mondo con l’opera delle “formiche umane”, o altro.

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Le aziende italiane in grado di demolire “correttamente” le vecchie navi non mancano, ma aspettano in molti casi il completamento dell’iter da parte dello Stato. Non è dunque la carenza di requisiti da parte dei cantieri tricolori, ma il ritardo del Governo – scrive InforMare – nel recepire tutti gli aspetti del nuovo regolamento. “Noi abbiamo subito fatto domanda per essere inseriti nella lista – spiegava infatti a Ship2Shore San Giorgio del Porto, che è il primo cantiere italiano ad essere iscritto nell’albo nazionale delle demolizioni navali e certificato ISO 30000:2009 per la gestione dei processi di smantellamento e riciclo delle navi non più in esercizio (Ship Recycling Management) – ma al momento non possiamo essere ammessi per ragioni che non dipendono dall’azienda”. Il Regolamento 1257/2013 prevede infatti che siano i singoli Stati membri a dover comunicare alla Commissione quali sono gli impianti di riciclaggio delle navi presenti sul proprio territorio autorizzati ad operare ai sensi della normativa europea, passaggio che però in Italia non è ancora avvenuto perché i ministeri competenti, ovvero Ambiente e Trasporti, sono in ritardo nell’iter di approvazione del decreto attuativo della normativa comunitaria.

“Questo stallo burocratico – diceva ancora il portavoce del cantiere – crea un paradosso a fronte di un’eccellenza già dimostrata da parte dal nostro cantiere e di ulteriori investimenti pianificati in questo settore (specialmente nel sito toscano controllato dalla newco Piombino Industrie Marittime di cui fa parte anche l’impresa livornese Neri)”.  Sembra che finalmente qualcosa si muova, anche se il sito in questione è ancora (forse per non molto: speriamo) in stand-by.

A.F.

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Pubblicato il
28 Luglio 2018
Ultima modifica
3 Agosto 2018 - ora: 11:35

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