Dei martìri e delle pene

Nella foto: Il cartello apparso a Palazzo Rosciano dell’AdSP per il ritorno di Massimo Provinciali.
BOLOGNA – A questo punto sembrava già logico che finisse così. Con i commenti più o meno sarcasticici dei tanti che hanno sottolineato “E tre!”.
La notizia è già nota ed ha fatto il giro d’Italia; il tribunale della Libertà di Bologna ha annullato la sospensione dei vertici dell’Autorità Portuale di Ravenna (del presidente Daniele Rossi, del segretario generale Paolo Ferrandino e del direttore tecnico, Fabio Maletti) disposta dal GIP di Ravenna il 25 settembre scorso su richiesta della Procura di Ravenna.
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La sospensione, come avevamo a suo tempo riferito non senza sorpresa, era stata disposta nell’ambito di una indagine condotta dalla Procura di Ravenna per inquinamento ambientale a seguito dell’affondamento di un relitto di nave abbandonato nel porto di Ravenna da molti anni.
L’udienza avanti il Tribunale della Libertà si è svolta in contraddittorio fra il pubblico ministero di Ravenna Dottoressa Angela Scorza ed i difensori delle parti avvocati Sirotti e Cavallari del Foro di Bologna. Le motivazioni – sottolineano i difensori e lo stesso tribunale – saranno pubblicate nei prossimi giorni.
Il presidente Rossi, ovviamente soddisfatto e sollevato, ha dichiarato: “Avevo riposto grande fiducia nel Tribunale della Libertà e ne ho molto apprezzato l’analisi competente, professionale e tempestiva. Ora ci apprestiamo a riprendere subito il lavoro interrotto con la determinazione e l’entusiasmo di sempre”. Note di compiacimento e di augurio sono pervenute anche dai vertici delle AdSP, dalle istituzioni locali e dagli imprenditori del porto di Ravenna.
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Fin qui la notizia. Che come vedete teniamo ben distinta dalle opinioni: quelle del cluster portuale italiano (e non solo) e quelle nostre. Opinioni che possono essere sintetizzate in un vecchio detto: un indizio è un caso, due indizi sono una coincidenza, tre indizi diventano una prova. La prova di che? L’abbiamo scritto altre volte: come minimo che le leggi alle quali si riferiscono i magistrati nei tre casi in questione, dando per scontato da parte nostra la buonafede dei giudici, sono troppo vaghe e consentono di essere tirate da una parte o dall’altra come – scusate l’irriverenza, ma lo sentiamo dire spesso anche in Tv, notoriamente madre dell’italiano moderno – la pelle dei coglioni.
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Tra le tante derivate di queste sculacciate alle Procure di Livorno, Bari e Ravenna sulle sospensive “cautelari”, c’è anche da capire che succederà se e quando i procedimenti giudiziari in questione sarebbe archiviati con la riconosciuta correttezza degli inquisiti. Siamo scesi dunque alle ipotesi. Ma non sono secondarie. Stefano Corsini e Massimo Provinciali – quest’ultimo accolto a palazzo Rosciano da un cartello fatto subito sparire che gli dava il benvenuto con una sogghignante postilla “È finita la pacchia!” – se a fine novembre la Procura decidesse di chiudere la partita e non rinviarli a giudizio potrebbero chiedere danni rilevanti: oltre alla retribuzioni non percepite per sei mesi l’uno, per otto l’altro – anche danni morali più che rilevanti: e i managers che con gli stessi provvedimenti sono stati sospesi a Livorno? Anche loro sono silenziosamente rientrati ai loro posti: per ora mantengono un amareggiato silenzio ma non è gente da rifugiarsi “sotto le grand’ali del perdono d’Iddio” come scriveva il Foscolo. Le Idi di novembre, l’abbiamo già scritto, a Livorno determineranno molte scelte, ma saranno anche di guida sugli altri porti e – si spera – di chiarimento definitivo da parte del governo su come portare avanti una “governance” che non richieda, come ha scritto Gian Enzo Duci “la vocazione al martirio”.
Antonio Fulvi
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