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Piccola nautica e grandi amarezze

Fa male dover prendere atto che, malgrado i crescenti richiami anche a livello nazionale (si veda il messaggio del nuovo presidente di Confindustria nautica Piero Formenti a pag. 7) tutti gridano Alleluia per i record dei mega-yacht italiani, ma nessuno si preoccupa della cosiddetta nautica popolare, quella delle famiglie “normali”, dei gommoni “normali” e dei piccoli fuoribordo.
È il richiamo della mail inviata al nostro giornale in occasione della recente Giornata del Mare: l’ha scritta, evidentemente di getto, il signor R. Antico di Collesalvetti (Livorno), che si dice pensionato di un ufficio statale, al quale l’aria di primavera ha evidentemente riacceso la voglia di andare con la sua barchetta fino alla Meloria.

Sono davvero stufo di leggere i record dei grandi nomi della nautica da ricchi, con gli inchini che ad ogni salone di settore vengono tributati all’eccellenza italiana – certo, ne siamo contenti – mentre si fa finta di non vedere che sono sempre meno i “barchini”, ovvero gli scafi fuoribordo sottoponente che servono ad andare a fare il bagno o a buttare una lenza entro tre miglia dalla costa.

Vi siete mai chiesti perché un “gommino” di 4 o 5 metri con un fuoribordo sottoponente da 40 CV costa quanto una vettura di lusso?

E perché a un suddetto “gommino”, di per se inaffondabile, vengono imposte dotazioni assurde e costose, addirittura come la zattera di salvataggio se osa spingersi cento metri oltre le 3 miglia?
Tante altre vessazioni poi si trovano a terra: posti d’ormeggio a peso d’oro, benzina dai distributori dei porti (quando ci sono) a costi stratosferici (a Capraia la settimana scorsa costava 2,5 euro al litro) divieti assoluti di navigazione  anche a lento moto sulle fasce costiere più belle…Mi chiudo la bocca per non sacramentare.

E grazie dello sfogo…

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Non è difficile, per chiunque di noi bazzichi un po’ sulla costa e si spinga anche qualche centinaio di metri oltre la battigia, condividere le amare recriminazioni del signor Antico. Che la grande e grandissima nautica italiana macini record di vendite e di apprezzamenti è bene, anzi benissimo: anche perché dietro ogni megayacht c’è il lavoro di qualche centinaio di persone e la vita di decine di piccoli e grandi aziende.

Disse una volta Paolo Vitelli, patron della Benetti: “Togliamo i soldi ai ricchi per darli ai lavoratori”.

Bella battuta, anche se glissa sul fatto che di quei soldi una parte non indifferente gli rimane in tasca, sia pure lodevolmente vestita nelle sue aziende.
Il problema è che le piccole e piccolissime barche stanno diventando anch’esse tabù per chi non ha consistenti soldi in tasca. L’allarme è stato lanciato anche dalle riviste specializzate
come “Il Gommone”, ma rimane al momento inascoltato.

Si veda il tanto dibattuto e sospirato “Marina” del Porto Mediceo di Livorno: bene che si faccia, ma le centinaia di barchette oggi rifugiate nei moletti galleggianti più o meno senza concessione da anni, che fine faranno?

Nella Darsena Nuova, quella degli antichi vari del cantiere Orlando? Ce ne staranno si e no un terzo. E il sognato approdo della Bellana? E le migliaia di scafetti dei Fossi? E quelli infilati in ogni fazzoletto d’acqua tra la foce dello Scolmatore, Dogana d’Acqua, i rigagnoli che la “città bene” non conosce? Stiamo citando realtà livornesi, perché il lettore ci ha scritto di queste.
Ma dobbiamo moltiplicare per dieci, per cento, forse per mille lungo tutte le nostre coste. Sono dieci, cento, mille gli appassionati che alla vigilia dell’estate nautica cercano, più o meno imprecando, di salvare la propria.

Chissà se qualcuno di loro se ne ricorderà, al momento di chiudersi con la scheda elettorale in cabina?

E poi: ricordarsi di chi, nel vuoto assoluto di promesse per il loro piccolo, grande sogno di un’estate in barchetta?

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Pubblicato il
18 Maggio 2024

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