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L’UE fa la pelle alla pelle

Nella foto: Pellame in attesa di lavorazione.

ROMA – Non c’è davvero pare per i distretti produttivi italiani che impattano contro l’ambientalismo “talebano” della commissione UE. Adesso è la volta  del distretto della pelle, che ha nella città di Prato in Toscana – ma anche non altre aree del nord Italia – il proprio fulcro. Secondo il presidente dell’associazione nazionale delle imprese conciari Fabrizio Nuti, il nuovo regolamento emesso da Bruxelles stabilisce che le pelli, anche lavorate (e i prodotti sono fondamentali pesci per il nostro export) possano essere commercializzate – ed esportate – solo se “non derivanti da zone disboscate”.

Il regolamento tende a proteggere le aree boscose, specie nel terzo mondo (le foreste del Sud America, qualche volta distrutte per favorire l’allevamento degli animali da pellame) ma in realtà provoca un vero disastro per le aziende che lavorano i pellami, perché è praticamente impossibile certificare che questi ultimi provengano da allevamenti “green”, non esistendo alcuna certificazione né in sud America né in Africa.

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Nuti ha chiesto, nelle more del nuovo parlamento europeo, che almeno questo “sciagurato” obbligo venga rinviato, per un esame più approfondito, che non colpisca a morte un’eccellenza italiana, quella della lavorazione del pellame che copre il 62% del mercato europeo e il 25% del mercato mondiale.

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Pubblicato il
26 Giugno 2024

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