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SOS SICUREZZA

Morti sul lavoro: dal ’51 a oggi più dei militari italiani uccisi in guerra nel ’40-45

Convegno di Federmanager con dirigenti, esperti e sindacalisti

 

LIVORNO. La sicurezza nei luoghi di lavoro non è un colpo di bacchetta magica o qualcosa che sta fra l’auspicio astratto e il sogno da anime belle: si tratta di diffondere la “cultura della sicurezza sul lavoro” come strumento di prevenzione. Ma come farcela davvero? È questo l’interrogativo al quale ha cercato di dare risposta un convegno promosso da Federmanager in collaborazione con Confindustria Toscana Centro e Costa, con il quotidiano Il Tirreno e con  Fondirigenti, sotto la regia organizzativa della sede livornese dell’organizzazione dei manager a cura del presidente Claudio Tonci, che ha aperto i lavori: un appuntamento che Federmanager ha messo a punto – queste le parole – per dare il proprio contributo di persone con una vasta esperienza non solo nel lavoro ma anche nell’organizzare il lavoro altrui.

Appuntamento a Livorno nell’auditorium del Tirreno: con il direttore del Tirreno Cristiano Meoni a coordinare il confronto, faccia a faccia dirigenti di organizzazioni di categoria e di aziende industriali, esperti e consulenti così come leader sindacali. Ma anche il sindaco di Livorno, Luca Salvetti: ha ricordato che, nei panni di datore di lavoro, si è fatto parte attiva nella promozione del “lavoro buono” pagato in maniera dignitosa, e per questo ha rievocato i casi di due appalti in cui il Comune è intervenuto per far adeguare le buste paga almeno allo standard previsto senza consentire più l’escamotage di contratti ultrastracciati che sono solo un paravento. Tradotto: deve crescere «un lavoro purchessìa, un lavoro qualunque in qualunque condizione è l’anticamera perché qualcosa finisca storto».

Il convegno Federmanager nel salone del Tirreno

Quest’accento segnala che, riguardo alla sicurezza sul lavoro c’è una prima questione da affrontare, e lo dice chiaro e tondo Meoni: nella tendenza di lungo periodo si muore di lavoro molto meno che mezzo secolo fa ok ma ormai da anni il calo sembra essersi fermato e si è fermato su livelli inaccettabili («i dati di cinquant’anni fa parlavano di una decina di  morti sul lavoro al giorno, talvolta una dozzina, meno dei tre attuali che però significano mille all’anno: troppi, e da almeno un decennio non si registra nessun  accenno a diminuire, perché?»). Lo si nota dal grafico che pubblichiamo: da vent’anni i morti sul lavoro restano inchiodati a uno stesso standard, fra mille e milleduecento.

Ma l’Osservatorio indipendente sulle morti sul lavoro, realizzato in Emilia da un ex tecnico qualità in una azienda meccanica, Carlo Soricelli, mette sull’avviso. Nelle statistiche dell’Inail sugli incidenti mortali manca chi non è assicurato all’Inail: ci sono «intere categorie come le partite Iva individuali, che sono milioni, che non hanno alcuna assicurazione con l’Inail. E non appaiono nelle statistiche: i loro morti sul lavoro diventano morti fantasma. Per dire: non sono assicurati carabinieri, poliziotti, vigili del fuoco, partite Iva individuali, ecc.». Per far parlare i numeri, Soricelli prende il 2013: «L’Inail dichiara 660 morti sul lavoro complessivi, di cui 375 in itinere» (cioè, mentre sono in viaggio da casa per andare al lavoro). «Eppure – aggiunge l’ideatore dell’Osservatorio indipendente – io ho monitorato solo sui luoghi di lavoro oltre 575 vittime. Aggiungendo i morti sulle strade e le partite Iva individuali, si superano i 1.200, 1.300 morti, non 660: raddoppiano!».

Da segnalare che dal ’51 in poi sono morte sul lavoro nel nostro Paese più di 175mila persone. Avete letto bene: l’equivalente di una città grandina, l’intera popolazione di Livorno e Rosignano messe insieme, neonati e ultracentenari compresi, o pari all’intera popolazione in età lavorativa a Catania, al decimo posto fra cottà italiane per numero di residenti. Un altro paragone choc: il numero dei morti sul lavoro dal ’51 a oggi supera di gran lunga quello dei militari italiani morti durante la seconda guerra mondiale.

Claudio Tonci, numero uno di Federmanager Livorno

Ma torniamo al convegno livornese. Valter Quercioli (presidente di Federmanager nazionale) sottolinea che la sicurezza è «al primo posto nella scala di preoccupazioni dei lavoratori, e lo è insieme al salario: nell’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni reali sono calate negli ultimi anni». E indica un orizzonte: «Adesso le aziende si pongono il doppio obiettivo di una produzione a “zero difetti” e con “zero clienti arrabbiati”. Bisognerebbe aggiungerne un terzo: “zero morti sul lavoro”».

Umberto Paoletti, storico dirigente confindustriale, dice che sì, serve formazione ma dev’essere «a misura di quel lavoro perché non esiste un pacchetto preconfezionato»: ben venga un’ “alleanza sulla sicurezza” che coinvolga aziende e sindacati. Come segnale di speranza indica il “bilancio di sostenibilità del comparto chimico”: in tutta Italia è «un caso unico o quasi, l’abbiamo fatto decollare tanti anni fa e venivamo guardati di traverso, ora si è capito che è utile». Aggiungendo poi: è utile anche coinvolgere nel rapporto sulla sicurezza dei lavoratori non solo sindacati e grandi aziende ma anche l’indotto in quanto è lì che talvolta si manifestano i problemi.

La voce del sindacato è quella di Fabrizio Zannotti, leader Cgil: «Dove c’è rappresentanza sindacale c’è più sicurezza: non è un teorema astratto – dice – bensì la realtà concreta che i lavoratori ben conoscono, perché dove c’è interlocuzione fra i rappresentanti dei lavoratori e l’azienda si riesce a garantire un certo livello di sicurezza. Poi c’è una “terra di mezzo” dove le tutele sono a fasi alterne. E poi c’è una sterminata zona “grigia”, dove tutto è difficile perché se esistono contratti di un giorno, come fai a immaginare di formare quella forza lavoro?». Massimo Marino, dirigente Uil, infila il dito nella piaga: «Pensate che sono depositati un migliaio di tipi di contratti di lavoro: non volete che i furbastri scovino la tipologia-scappatoia che consente di aggirare qualsiasi rispetto del lavoratore?».

L’intervento di Marco Bodini, presidente di Fondirigenti

È quel che puntualizza Cristina Grieco, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale (ex provveditorato), quando ricorda che «non mancano le leggi, semmai però vengono viste come semplici adempimenti formali: c’è bisogno di radicare in profondità il valore culturale della sicurezza nei luoghi di lavoro».

«Non fatevi illusioni: talvolta sento dire che servono più ispettori e più controlli, io non la penso così». Roberta Consigli, direttore del dipartimento prevenzione dell’Asl zona livornese, non ci gira intorno: sarebbe un po’ come immaginare di mettere un vigile in ogni strada e una camionetta dei carabinieri su ogni cantonata. «Meglio se le parti sociali si confrontano così da fare in modo che a prevalere sia la cultura della prevenzione: credo siano più fondamentali i corsi che gli ispettori».

Sembra sulla stessa lunghezza d’onda anche Michela Tarabella, direttrice dell’Ispettorato del lavoro. Pure qui c’è una metafora diciamo automobilistica: «Tutti si fermano al semaforo perché riconoscono che si sta meglio in una società in cui questa semplice regola viene rispettata». È questo che deve passare: chi rispetta le regole non è un fesso.

Mario Cardoni (direttore Federmanager) ha aperto il secondo round del convegno dedicato alla tavola rotonda per mettere a fuoco non solo il problema ma anche gli strumenti per affrontarlo: sì, la questione ma anche, pragmaticamente – da manager, verrebbe da dire – il modo di venirne a capo.

Fondirigenti si mette a disposizione delle imprese come «uno strumento di welfare unico in Europa per finanziare la formazione e rendere al passo con i tempi la cultura manageriale»: su questi concetti insiste Marco Bodini, che di Fondirigenti, «il fondo interprofessionale più grande del nostro Paese», è il presidente nazionale. L’aggiornamento è un optional: l’industria 4.0 ha aiutato a cambiare i macchinari rendendoli più sicuri ma riuscire a comprenderne l’identikit – afferma – offre «incredibili opportunità di crescita».

La platea del convegno Federmanager al Tirreno

Giovanni Lorenzini (direttore Inail Livorno) invita a cambiare la narrazione sulla sicurezza. «Gli infortuni aumentano? No, non è vero. Quelli mortali? Non diminuiscono, e questo è un bel problema. Le malattie professionali? Crescono, ma può essere visto anche in chiave positiva: nel senso che c’è più consapevolezza  e, siccome cala l’ammontare delle rendite, significa che sembra diminuire la gravità».

Per Mauro Marrucci (giuslavorista) si punta troppo il dito su una sorta di responsabilità oggettiva dell’impresa: invece talvolta può capitare per una disattenzione («del resto, Leclerc quando si mette a volante della Formula Uno indossa la tuta ignifuga e lo fa perché sa che corre un grosso rischio»)

Un altro aspetto, infine, lo coglie Riccardo Grilli (direttore del comitato consultivo provinciale Inail Livorno): «La sicurezza non è un fattore esterno che arriva da fuori, qualcosa di esogeno: è dentro il lavoro, si chiama competenza». Proprio per questo non ci sta a vedere che «si insegni sicurezza in un’aula anziché sul campo».

Pubblicato il
13 Giugno 2025
di BOB CREMONESI

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