Sos “Salvamare”: 6mila tonnellate di rifiuti pescati ma non si sa cosa farne
La legge c’è ma mancano le norme attuative: eppure in bolletta noi paghiamo…
ROMA. Dalle reti dei pescatori sono state recuperate negli ultimi tre anni una montagna di rifiuti: si stima oltre 6mila tonnellate, «soprattutto plastica, ma anche ferro, metallo, pneumatici e vetro». Però a oggi manca «qualsiasi sistema di conferimento adeguato a terra: il che rischia di disincentivare tale attività». Colpa del fatto che non sono stati «emanati alcuni fondamentali decreti attuativi della “Legge SalvaMare”, compreso quello relativo all’articolo 2 che disciplina le modalità di gestione dei rifiuti accidentalmente pescati e volontariamente raccolti in mare: manca cioè il tassello indispensabile per «rendere efficace uno strumento fondamentale nella lotta all’inquinamento marino».
A lanciare l’allarme sono la Fondazione Marevivo e la Federazione del Mare, che rappresenta le principali associazioni della comunità marittima italiana, che ricordano di aver fortemente caldeggiato la norma insieme a Lega Italiana Vela, Stazione Zoologica Anton Dohrn, Lega Navale, La Grande Onda e quasi 100mila firmatari della petizione lanciata su Change.org. La legge c’è ed è stata approvata nel maggio 2022 all’unanimità dal Senato («dopo un lungo e complesso iter legislativo»): ma è «tuttora rimasta inapplicata».
Dei circa 12mila pescherecci presenti in Italia, 2 mila cosiddetti a strascico – si afferma – durante le attività di pesca «ogni anno raccolgono circa una tonnellata di rifiuti». Ma non possono però depositarli a terra, se non a proprie spese. Marevivo e Federazione del Mare sottolineano che «questa è solo una delle tante note dolenti della mancata applicazione della “SalvaMare”». C’è una ulteriore beffa: come previsto proprio dalla Legge 60/2022, «da gennaio 2024 i cittadini italiani pagano nella bolletta della Tari i costi per la gestione dei rifiuti accidentalmente pescati o volontariamente raccolti, senza che il servizio venga effettuato». Tradotto: in bolletta paghiamo il contributo che serve a finanziare il recupero di questi rifiuti, e questa parte eccome se funziona. Quella che non va ed è rimasta impigliata nella mancanza di norme attuative è l’altra metà: l’effettiva realizzazione del servizio per cui paghiamo. Finché c’è da pagare sì, quando c’è da vederne i frutti no: è anche questa la denuncia dell’incredibile vicenda della “legge salvamare” che arriva da Marevivo e Fondazione del Mare.
«Uno degli obiettivi fondamentali di questa legge all’art. 2 era quello di favorire il recupero dei rifiuti raccolti in mare per consentirne il corretto smaltimento, cosa che oggi non accade», sottolinea Rosalba Giugni, presidente di Fondazione Marevivo: «L’auspicio è che siano emanati al più presto i decreti mancanti, per stabilire criteri e modalità con cui i rifiuti accidentalmente pescati possano essere effettivamente recuperati e riciclati».
A giudizio di Marevivo c’è anche un altro elemento della legge 60/2022 ancora da affrontare: i criteri generali per la disciplina degli impianti di desalinizzazione (art. 12), che «consentirebbero di trasformare l’acqua salata in acqua dolce, ma che rischiano di diventare un problema in termini di impatto ambientale, in mancanza di un quadro chiaro in grado di disciplinarli».
Della “legge salvamare” restano aperti anche altri temi rilevanti, come la regolamentazione degli impianti di acquacoltura (art. 13) e la corretta gestione delle biomasse vegetali spiaggiate (art.5): «Si pensi alla Posidonia che in alcuni paesi come la Francia viene considerata un patrimonio da tutelare, mentre in Italia è diventato un rifiuto da smaltire», viene sottolineato.
La norma attuativa c’è invece per l’articolo 6 che disciplina l’installazione dei sistemi di sbarramento nei corsi d’acqua per intercettare i rifiuti galleggianti prima che raggiungano il mare. La “legge salvamare”, stanziando sei milioni di euro con un piano triennale (suddiviso fra le annualità dal 2024 al 2026), offre la possibilità ai sette distretti idrografici italiani di avviare questa attività di raccolta rifiuti dai corsi d’acqua e dalle sponde. Cosa manca? Come detto, qui il decreto c’è, però – viene fatto rilevare – «non tutte le amministrazioni locali competenti hanno provveduto a posizionare gli sbarramenti previsti, nonostante sia comprovata la loro efficacia nell’impedire che tonnellate di rifiuti arrivino direttamente in mare».
«Non potrò mai dimenticare il nostro entusiasmo quando la “legge salvamare” è stata approvata dal Senato nel maggio 2022», ricorda Mario Mattioli, presidente della Federazione del Mare: «Un entusiasmo che in questi 36 mesi di attesa dei decreti attuativi è andato spegnendosi. Stiamo perdendo la preziosa opportunità di sfruttare un provvedimento all’avanguardia nel contesto europeo, che prevede azioni concrete per tutelare il mare dalla plastica, vera piaga dell’ecosistema marino: e questo soltanto perché i ministeri competenti non hanno ancora emanato i decreti attuativi necessari». Mattioli denuncia: «È una situazione molto sconfortante, in contraddizione con le tante dichiarazioni a favore della salvaguardia degli oceani che abbiamo sentito poche settimane fa a Nizza durante la Conferenza Unoc2025».