L’idea della «più grande zona franca mediterranea» in tandem con il sì al Ponte
Falteri: l’infrastruttura sullo Stretto è la scorciatoia per una svolta
GENOVA. L’idea di una grande area franca, con un qualcosa di paragonabile a una “zona economica speciale” (“Zes”), «peraltro già approvata», che sdoppiata fra il 65% nella Sicilia orientale e il resto in quella occidentale che valgono «quasi 5.580 ettari». Si tratterebbe di una “zona economica speciale” che «per la Sicilia significa:
- credito d’imposta per investimenti in beni strumentali con fondi che possono arrivare fino a 50–100 milioni di euro in base al progetto;
- semplificazioni amministrative e autorizzative (con «procedura semplificata con sportelli unici e tempi ridotti anche di un terzo»);
- agevolazioni fiscali ulteriori («come una riduzione del 50% dell’imposta sul reddito per i nuovi insediamenti nelle “Zes”, per un periodo iniziale di 7 anni (prorogabili)»;
- Zona Franca Doganale in alcune aree portuali (possibile istituzione)
- maggiore integrazione logistica e infrastrutturale (per esempio: corridoi doganali, interporti, snodi ferroviari);
- programmazione supportata da fondi Pnrr («con investimenti da “ultimo miglio” nei porti e negli interporti»).
Sarebbe una zona franca che dovrebbe avere collegamento con i porti in «tutte le principali destinazioni del Mediterraneo», integrata con «un nuovo sistema infrastrutturale e logistico»: può davvero essere “la” risposta, non semplicemente “una” risposta – viene sottolineato – anche ai tanti progetti di rilocalizzazione in patria (re-shoring) o in territori comunque non lontani e “amici” (friendly shoring), fin qui «lanciati senza una precisa programmazione e scelte di localizzazione credibili, dopo la pandemia del Covid».

Davide Falteri, presidente di Federlogistica
È la visione che mette in campo Davide Falteri, presidente di Federlogistica, organizzazione di categoria che raggruppa la imprese del settore logistico, per schierarsi in favore del ponte sullo Stretto di Messina ma a partire da una «una chiave di lettura del tutto anomala»: il Ponte come una «scorciatoia» da mettere in campo insieme a «una grande zona franca».
Falteri la spiega così: «Guardare al Ponte sullo Stretto come a una pur eccezionale opera infrastrutturale, significa aver perso qualsiasi visione per il futuro e subire passivamente la condanna del nostro Paese alla decadenza». Va vista come un’occasione irripetibile perché l’Italia sfrutti a pieno la «centralità in un Mediterraneo tornato a essere centrale e decisivo, anche una connessione sana e non malata con altri continenti, l’Africa, un Medio Oriente che si candida a essere una forza unica nel panorama mondiale e un’Europa troppo sbilanciata a nord che anche per questo ha fallito i suoi obiettivi di coesione e crescita».
Detto che Falteri esplicitamente non lo fa, si potrebbe però leggere questo scenario filo-mediterraneo anche come un riprendere in mano i fili di una strategia dell’Unione Europea quando ancora era la metà di adesso e, negli anni di Delors, Santer e Prodi fino a Barroso, aveva avuto l’ambizione di avviare con il “processo di Barcellona” la strategia per arrivare a creare fra le sponde del Mediterraneo una grande area di libero scambio, che alla fine aveva coinvolto non solo Israele e Autorità Palestinese ma anche Iraq e perfino la Libia di Gheddafi. Fra gli obiettivi: un gigantesco piano per il fotovoltaico e il via alle “autostrade del mare” fra la sponda nord e la sponda sud, solo per citarne un paio. Ma poi le grandi ambizioni si sono un po’ perse per strada…
Quanto a Falteri, inutile dire – ammette – che potrebbero accadere «molte cose negative» e verificarsi «molteplici intoppi»: potrebbe capitare che «specialmente politica e impresa» non capiscano che il Ponte sullo Stretto di Messina è «l’occasione unica per rinsaldare un Paese che è sempre stato diviso fra Nord e Sud, per azzerare progressivamente un quadro di ingiustizie sociali».
Per dare un’idea delle potenzialità da cogliere, il numero uno di Federlogistica ricorda che «un tempo si parlava di “granaio” del mondo» riferendosi all’Ucraina o al Nord America. Ebbene, nella sua visione la Sicilia può essere qualcosa del genere: diventare «il polo logistico dell’ortofrutta del Mediterraneo e dell’Europa nonchè delle industrie alimentari e conserviere connesse». Non è tutto: è «in condizione, per la sua posizione geografica, di essere anche l’ “hub” delle nuove risorse energetiche, idrogeno incluso». Di più: ci sono «le potenzialità (anche culturali e storiche)» perché, «nel quadro di una grande zona franca interconnessa, diventi una «start up region” per l’innovazione tecnologica».
A giudizio di Falteri bisogna uscire dallo schema delle contrapposte tifoserie che sul Ponte, «opera infrastrutturale determinante», da decenni si scontrano: «Oggi – afferma Falteri – è il momento di dire basta: con un mondo condizionato da guerre commerciali, dazi e contro-dazi, il Ponte ha tutte le caratteristiche per diventare l’arteria di un corpo economico e sociale sino a oggi sotto sviluppato spesso proprio per miopia politica».
In questo senso, «gemellata al regime di “zona franca”», il balzo in avanti sul fronte della logistica con un nuovo Ponte «può e deve essere il valore aggiunto»: per Falteri si potrebbe innescare «una reazione a catena di infrastrutture anche finanziabili da privati, di insediamenti industriali non schiavi di aiuti pubblici e di un network di collegamenti destinati a esaltare le potenzialità di una terra che per troppi anni (come gran parte del Mezzogiorno) è stata considerata alla stregua di una battaglia persa».