«Mobilità condivisa, rischi bassissimi ma le assicurazioni o ci ignorano o ci strangolano»
Comes (Pikyrent): boom della domanda eppure gli operatori calano, vi spiego perché

Pikyrent car-sharing mobility
BARI. Non potrebbe realisticamente esserci una impennata più forte dal lato della domanda nella mobilità condivisa (“mobility sharing”): il mercato italiano cresce a tal punto che, a dar retta al 9° “Rapporto Nazionale” di settore, «nel 2025 i noleggi di veicoli condivisi (auto, bici, scooter e monopattini) raggiungeranno quota 60 milioni (più 20% sul 2024) per un giro d’affari stimato di 200 milioni di euro». Ma c’è un “ma”, ed è il paradosso che ingabbia lo sviluppo di questo settore: il numero di operatori è diminuito del 20% rispetto al 2022 e sedici città sono già uscite dalla mappa della mobilità condivisa nazionale.
Pikyrent, operatore di “sharing mobility” attivo a Bari, Milano e Torino, punta il dito contro quella che ritiene «una delle cause strutturali di questa contrazione: l’assenza di un mercato assicurativo dedicato alla mobilità in sharing».
«Siamo davanti a una gravissima anomalia di mercato, un corto circuito che rallenta l’intero ecosistema della mobilità sostenibile», dice Antonella Comes, amministratrice delegata di Pikyrent: «Le compagnie assicurative, quando si tratta di polizze Rca e infortunio conducente per veicoli immatricolati come “noleggio senza conducente”, tendono a rifiutare la copertura senza fornire dati o motivazioni che giustifichino tale scelta». Non basta: «Le poche che accettano di assicurare questi veicoli – aggiunge – applicano premi esorbitanti e del tutto scollegati dal rischio reale, come evidenziato dai dati dell’Osservatorio».
A giudizio di Comes, un tale standard di costi «compromette la sostenibilità economica del settore e costringe gli operatori a rinunciare a risorse che potrebbero invece essere destinate all’espansione del servizio, alla riduzione delle tariffe o, ancora meglio, all’innovazione tecnologica del comparto».
A quali dati si riferisce? Al fatto che, secondo gli ultimi dati presentati dall’Osservatorio, la media complessiva di incidenti è «pari a uno per ogni 300mila chilometri percorsi, mentre a livello europeo, il rischio di lesioni gravi o fatali, per esempio sugli e-scooter in sharing è calato del 30% tra 2021 e 2024». È la conferma – si afferma – che la mobilità condivisa «non è più una sperimentazione ad alto rischio, ma una componente stabile e matura delle infrastrutture urbane».
Eppure, «nonostante i numeri parlino chiaro», le compagnie assicurative – questa l’argomentazione –continuano a «negare o sovrapprezzare le coperture per la mobilità condivisa, senza che i tassi di sinistrosità Rca possano giustificare tale atteggiamento». Ben diverso è invece il discorso sulle coperture “Kasko”, dove «atti vandalici, furti parziali e furti totali rappresentano ancora una vera e propria piaga per il settore, al punto che molti operatori sono costretti a ricorrere all’autoassicurazione». Comes tiene a ribadire che considerare questi eventi come semplice rischio d’impresa «appare ormai un’eresia»: resta il fatto che «la voce assicurativa pesa oggi più di ogni altra sui costi operativi, erodendo i margini di redditività e mettendo a rischio la sostenibilità economica dei servizi di “sharing mobility”».
A livello europeo la situazione è differente: secondo lo studio “Move to the Future” di EY e Italian Insurtech Association, «il 76% delle compagnie europee offre già prodotti per la micro-mobilità e il 71% ritiene che le polizze multimodali ed “embedded” saranno la nuova frontiera del settore». In Italia invece no: le flotte in sharing – viene messo in risalto – pur essendo «per il 95% a zero emissioni e pienamente allineate alla “transizione verde”», restano escluse da coperture specifiche, «in un contesto dove il rischio reale è ormai marginale (0,5% del totale nazionale)».
Pikyrent ricorda che la micromobilità europea è stimata «in 90 miliardi di euro entro il 2030» ma – l’azienda avverte – «senza un’offerta assicurativa verticale, l’Italia rischia di restare ai margini di un mercato in forte espansione e di rallentare la propria transizione urbana». Per costruire la soluzione, la società ha individuato due direttrici di azioni attuabili:
- Creare una linea di business assicurativa dedicata alla “sharing mobility”, con prodotti “pay-per-use”, per km e multimodali, basati su dati di rischio reali.
- Avviare un tavolo tecnico nazionale tra operatori, assicurazioni e amministrazioni per definire standard comuni di copertura e “pricing” sostenibile.
«Le assicurazioni stanno perdendo un nuovo mercato miliardario e le città rischiano di perdere un alleato della sostenibilità che possa supportarle nel raggiungimento degli obiettivi 2030, ma anche nella sfida di potenziare in un’ottica multimodale il trasporto pubblico locale a sostegno dei cittadini», dice Comes. «La “sharing mobility” non è un rischio: è un’infrastruttura economica. Trattarla come tale è perciò anche un dovere istituzionale».