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AUTORITA' DI SISTEMA

Sorpresona: ancora uno slittamento del voto in commissione

Le nomine dei presidenti e il fortino del potere leghista attaccato dagli alleati

L’aula del Senato: un’immagine simbolica dell’impasse nella commissione di Palazzo Madama

LIVORNO. Si potrebbe ripescare dai ricordi della matematica di liceo la formuletta in calce alla dimostrazione del teorema: “Come volevasi dimostrare”. Aveva proprio ragione il professor Trapattoni Giovanni: non dire gatto se non l’hai nel sacco. Il parere sulla nomina di una sfilza di presidenti di autorità di sistema portuale non è bastato neanche metterlo formalmente all’ordine del giorno nell’agenda delle convocazioni della commissione del Senato: la giornata di martedì 21 è andata in archivio senza che Palazzo Madama fornisse al ministro Matteo Salvini questo benedetto parere. Non vincolante ma comunque indispensabile perché si completi l’iter e si possa procedere alla nomina dei presidenti mentre praticamente tutta la portualità made in Italy sta galleggiando da mesi con i designati che nel frattempo sono stati spediti ugualmente nei vari porti ma con i galloni di commissario straordinario.

Il pacchetto di nomine sulle quali la commissione di Palazzo Madama, lo ripetiamo, deve esperimere un semplice parere, viene messo in lista secondo l’ordine di numerazione: si parte dalla n. 78 che riguarda Giovanni Gugliotti al timone dell’Authority di Taranto, seguita dalla n. 81 che vede Francesco Benevolo alla guida dell’istituzione portuale di  Ravenna, per giungere fino a quelle di Paolo Piacenza a Gioia Tauro (la n. 103) e di Domenico Bagalà a Cagliari (la n. 105). Prima di arrivare a Davide Gariglio come presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno settentrionale, cioè Livorno, Piombino e Arcipelago.guito esame, c’è la proposta di nomina relativa a Francesco Mastro (Mare Adriatico meridionale, cioè Bari-Brindisi) e c’è quella di Francesco Rizzo (Stretto, cioè Messina). A seguire invece ecco Bruno Pisano (Mare Ligure orientale, cioè La Spezia e Marina di Carrara), Raffaele Latrofa (Mar Tirreno centro-settentrionale, cioè Civitavecchia), Eliseo Cuccaro (mar Tirreno centrale, cioè Napoli-Salerno) e Matteo Gasparato (Mare Adriatico settentrionale, cioè Venezia).

I maestri di tatticismo parlamentare hanno fatto una cosa semplice: il parere di per sé non incide per niente (guardatevi i video su Youtube su come sono andate le sedute precedenti), ma va espresso e dunque l’unica possibilità di farlo contare davvero è giovcare sui tempi, fare “melina”, ritardarlo.

Si ha un bel dire che i poteri dei commissari straordinari sono gli stessi dei presidenti: di fatto non è vero e lo sanno tutti ma la manfrina resta. Per quale motivo l’opposizione non fa fuoco e fiamme: perché in realtà è anch’essa parte in commedia, avendo di fatto concordato un pizzicotto di nomine gradite al centrosinistra, in base alla regia dell’intesa negoziata in modo intelligente dal viceministro leghista Edoardo Rixi, braccio destro del numero uno Matteo Salvini, per evitare di ruzzolare di nuovo in un Vietnam come accadde dopo il 2003 finché dovette scendere in campo perfino la Corte Costituzionale per sbrogliare il caos.

In extremis è arrivata una inversione nell’ordine del giorno della seduta: l’infornata di nomine, inizialmente nella prima parte delle questioni da analizzare, è stata spostata in coda. Questo potrebbe dire che la trattazione slitta a oggi, mercoledì 22 ottobre: ma la riunione è fissata per le ore 13. A giudicare dalle aspettative del toto-commissione, non è detto che sia questo il giorno giusto: per giovedì mattina alle 11 è previsto un ulteriore round.

Del resto, non è un mistero per nessuno che il problema non è un ingarbugliarsi burocratico di date o un improvviso accavallarsi di impegni. C’è una questione politica di rapporti all’interno del centrodestra: da un lato, l’esito di tre tornate elettorali regionali (prima Marche, poi Calabria, infine Toscana) e altrettante regioni al voto fra un mese (Veneto, Puglia e Campania); dall’altro, lo sgomitare fra alleati in mezzo ai capitoli della legge di bilancio per intestarsi il merito di aver fatto passare questo o quel provvedimento. Fatto sta che il ministero coinvolto, quello delle infrastrutture e dei trasporti, è la trincea fortissimamente presidiata dalla Lega con il suo leader Salvini: bersaglio di ogni attacco, soprattutto adesso che è indebolito dal deludente verdetto del voto regionale.

È facile capirlo: l’assetto del potere distribuito a livello regionale è stato negoziato all’interno del centrodestra quando Fratelli d’Italia era ai minimi termini e la Lega aveva consensi record. Risultato: la Lega ha in mano i principali governatori del Nord produttivo, Forza Italia ha fatto man bassa di presidenze soprattutto al Sud e a Fratelli d’Italia sono rimaste le briciole. Ora che il partito della premier Giorgia Meloni ha da solo il doppio dei consensi degli altri due, gli equilibri vanno ricalcolati. È logico, così com’è ovvio che le cannonate vengano sparate contro la roccaforte di quel che resta del potere leghista, cioè il ministero di Salvini e Rixi. Del resto, la commissione in ballo è guidata da un senatore forzista di lunghissima esperienza e Forza Italia, forte della risalita al rango di secondo partito della coalizione, sembra aver scelto di affiancare Fratelli d’Italia per indebolire ulteriormente la Lega.

Vedremo perciò se oggi avrà effetto l’ultimatum di Salvini dichiarato venerdì 10 ottobre a Livorno davanti al taccuino della Gazzetta Marittima, poi ribadito pochi giorni più tardi dal viceministro Rixi a Genova: o i commissari si sbrigano a dare il parere o le nomine le facciamo da soli noi al ministero. Se così fosse e se davvero Salvini tenesse duro e facesse le nomine (a pacchetti di tre per volta, si dice) è presumibile che si scatenerebbe una “guerriglia” di attacchi estemporanei. Proprio adesso che c’è un nuovo round di campagna elettorale e la finanziaria ancora da condurre in porto nella navigazione parlamentare.

Del resto, sono in gioco gli equilibri complessivi di potere fra gli alleati del centrodestra (può bastare aver promesso a Fratelli d’Italia il diritto a esprimere il candidato “governatore” in Lombardia, ma fra anni?) ma è sul fornello anche la pentola della “riforma della riforma della riforma” della portualità. Chi ne ha in mano le chiavi può disporre di un potere enorme: alla fin fine, in una fase di risorse pubbliche al lumicino dopo la fine del Pnrr, è da ritenere che sì la super-Authority dei “Porti d’Italia” resti formalmente in mani pubbliche, fifty-fifty fra ministero delle infrastrutture (a guida leghista) e ministero dell’economia (idem), ma con gli investimenti reali per miliardi di euro affidati agli investimenti di colossi privati in quella che sarà una sostanziale privatizzazione delle banchine. È una posizione che val bene il “governatorato” della Lombardia e anche qualcos’altro.

Mauro Zucchelli

Pubblicato il
21 Ottobre 2025
di MAURO ZUCCHELLI

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