Il governo vuol riformare le banchine: tutto il potere a Roma con Porti d’Italia spa
I soldi saranno presi dagli avanzi delle Autorità, poi dalle concessioni e dalle tasse portuali

Il quartier generale del ministero delle infrastrutture e dei trasporti a Rima, zona Porta Pia
ROMA. Canta vittoria il ministero delle infrastrutture, roccaforte leghista con Matteo Salvini nel triplice ruolo di vicepremier, ministro e leader di partito, in tandem con il viceministro Edoardo Rixi: è passata in consiglio dei ministri con un ok senza riserve la riforma dei porti che cambia molte delle carte in tavola, e lo fa costruendo un asse con il ministero dell’economia (anch’esso a guida leghista con il ministro Giancarlo Giorgetti).
Restano le 16 autorità di sistema portuale ma di fatto si concentra a Roma non solo una regia complessiva degli sforzi infrastrutturali ma anche gran parte delle risorse pubbliche che la portualità riesce a mettere insieme. Questo braccio operativo, una sorta di SuperAuthority, si chiamerà Porti d’Italia spa: sarà «una società pubblica partecipata dal ministero dell’economia e delle finanze e vigilata dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti», come dice il dicastero di Salvini parlando di «passaggio decisivo per il futuro della logistica e dell’economia marittima italiana» (e, in questo non ha torto, dell’esigenza di «una visione unitaria»).
Chi sta nel consiglio d’amministrazione? Due persone le indica il ministero dell’economia (che sarebbe l’unico azionista), altre due le designa il ministero delle infrastrutture (al quale spetta la vigilanza tecnica) e uno lo mette la Presidenza del consiglio. Il presidente è uno dei due nominati dal ministero dell’economia, l’amministratore delegato lo fa uno dei due inviati dal ministero delle infrastrutture).
Con quali soldi? Qui l’escamotage sta in buona parte nell’ingranaggio che concentra la capitalizzazione iniziale e in quello che dirotta dai porti verso Roma, anziché il contrario come sarebbe intuibile. Come?
Capitalizzazione iniziale: 500 milioni di euro. Ma non li mette il governo: sono quattrini drenati alle singole Autorità di Sistema pescando dagli avanzi di amministrazione non vincolati (ve ne sono per 800 milioni di euro, secondo quanto riferisce ad esempio l’autorevole testata online “Shipping Italy”). Da tradurre così: vengono riportati a Roma i soldi che le istituzioni portuali periferiche non sono riuscite a spendere spesso perché i ministeri funzionano come funzionano e qualunque passaggio da una scrivania all’altra è un calvario (su questo avrete ascoltare i commenti in genovese doc del presidente Gallanti). Potete immaginarvi con quale celerità ora i ministeri sbrigheranno le pratiche, in attesa di poter rimettere le mani su quei soldi.

Il ministro Matteo Salvini durante il sopralluogo alla vasca di colmata nel porto di Livorno: qui è prevista la Darsena Europa
Non basta. I quattrini per le infrastrutture strategiche sul fronte del trasporto via mare, tutto in mani romane, si approvvigiona grazie a finanziamenti del governo? Sembra di no. Le informazioni che è stato possibile raccogliere indicano che una bella fetta degli introiti da concessioni – forse addirittura più di tre euro su quattro – arriva sì dal singolo porto ma prende subito la via di Roma senza neanche passare dal via. Lo stesso dicasi anche per un altro quid derivante dalle tasse sulle merci e dalle tasse di ancoraggio: probabilmente per una percentuale che in questo caso non sarà sopra l’80% come nell’altro ma si limiterà a stare al di sotto di un quarto, meno del 25% insomma.
Sempre facendo riferimento al giornale diretto da Nicola Capuzzo, il dossier tecnico indica che questo fondo avrà una dotazione annua a regime di «circa 480 milioni di euro». Non c’è male: non basta nemmeno per una – sì, una sola – grande infrastruttura. Figuriamoci se questa infrastruttura fosse, un esempio a caso, la nuova diga foranea di Genova. È da capire dunque di cosa dovrebbe alimentarsi l’ambizione di concentrate «la gestione dei grandi investimenti infrastrutturali strategici, della manutenzione straordinaria, dell’individuazione delle opere di interesse economico generale e della promozione unitaria del sistema portuale italiano sui mercati internazionali».
È vero che le 16 autorità di sistema restano in piedi: ma senza più grandi opere. Funzioneranno, nella migliore delle ipotesi, come gli ex provveditorati agli studi o le motorizzazioni: un ruolo funzionariale, appunto, che dovrà occuparsi di “tenere aperto il negozio”, come suol dirsi. Cioè: manutenzioni ordinarie, un po’ di beghe locali e mica tanto altro. Le negoziazioni si faranno ai piani più alti: a Roma.
«Ora la parola passa al Parlamento, – è la sottolineatura che arriva dal ministero delle infrastrutture – chiamato a esaminare e approvare in via definitiva una riforma strategica per il Paese». Aggiungendo poi: «Il governo chiede un confronto serio e responsabile, orientato al merito e ai risultati, per dotare finalmente l’Italia di un sistema portuale all’altezza delle sfide globali. È il momento delle scelte concrete, nell’interesse della competitività nazionale, del lavoro e della crescita».
Mauro Zucchelli

La sala dove si riunisce il consiglio dei ministri











