L’egittologia è nata all’università di Pisa (e nel porto di Livorno)
Il giovane archeologo Ippolito Rosellini brucia sul tempo la superstar Champollion
PISA. Non c’è dubbio che l’archeologo francese Jean-François Champollion sia considerato anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori il padre dell’egittologia: del resto, non li ha decifrati lui i geroglifici? Lui che ancora ragazzo impara una sfilza di lingue come il copto e strega una congrega di accademici che lo accoglie a bracca aperte come un genio.
C’è però qualcosa che non torna in questa storia: e non solo perché quell’andirivieni di antichissimi reperti egizi è uno dei soliti traffici che passano dal porto-emporio di Livorno (è qui che passa la collezione Drovetti che viene raccontata come il nucleo fondativo di quel miracolo che è il museo egizio di Torino). La cosa buffa è che l’indiscusso talento di Champollion venne bruciato sul tempo da un giovane orientalista pisano, Ippolito Rosellini.

Ippolito Rosellini. archeologo
Correva l’anno accademico 1825-26 e Ippolito – anche lui uno studente niente male se a 21 anni aveva già in tasca la laurea in teologia – riesce a far istituire il primo corso di egittologia mai esistito al mondo. «anticipando la Francia di ben sei anni», come annota l’università di Pisa ricordando questo primato.
Esattamente duecent’anni fa, «a Pisa per la prima volta al mondo l’egittologia faceva il suo ingresso in un’aula universitaria». Rosellini aveva appena 26 anni e iniziò le lezioni parlando agli studenti di storia e lingua dell’antico Egitto. In Francia solo nel 1831 è stata istituita una cattedra di egittologia: inutile dire che l’hanno affidata a Jean-François Champollion.
«Questo primato per Pisa fu possibile anche grazie al sostegno di Leopoldo II di Toscana», sottolinea Gianluca Miniaci, prof di egittologia al Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa. «Tanto interesse da parte del granduca – afferma – aveva anche delle motivazioni pratiche: Livorno all’epoca era la porta europea per tutte le antichità faraoniche». Ogni corte europea aspirava a possedere una propria collezione egizia – viene ricordato dall’ateneo pisano – e Livorno fu scelta come principale approdo per questo particolare commercio». In concreto: lo studioso racconta che «navi cariche di cereali e prodotti esotici partivano da Alessandria d’Egitto e arrivavano nel porto labronico portando anche statue, sarcofagi, mummie e papiri».
C’è voluto poco perché «i lazzaretti e i magazzini livornesi si riempissero di quei reperti che oggi ammiriamo nei musei di Torino, Firenze, Bologna, Londra, Parigi, Berlino, Vienna, Leida». Figurarsi che, come rievoca il prof, «nacque perfino un vero e proprio turismo specializzato con antiquari, collezionisti e studiosi che arrivarono a Livorno per vedere di persona questa preziosa mercanzia», come segnala Mattia Mancini, del gruppo di ricerca di Miniaci che ha condotto studi nell’Archivio di Stato di Livorno.
Per celebrare il bicentenario, gli egittologi dell’Ateneo pisano che hanno raccolto l’eredità di Rosellini hanno allestito un programma di eventi: incontri, un convegno internazionale a dicembre e una mostra in cui saranno esposte le pagine delle prime lezioni di Rosellini, insieme ad altri documenti conservati presso la Biblioteca Universitaria di Pisa, come antichi volumi, note manoscritte e i meravigliosi disegni realizzati durante la spedizione franco-toscana.
L’egittologia con Rosellini non si fermò alle lezioni. Proprio insieme a Champollion, lo studioso pisano mise in piedi un incredibile viaggio scientifico nella Valle del Nilo con i soldi che avevano tirato fuori dai forzieri sia il granduca di Toscana Leopoldo II sia Carlo X di Francia. Si tenga presente che la celebre “spedizione franco-toscana” del 1828-1829 è stata «la prima missione egittologica vera e propria mai realizzata».
È da aggiungere che, in mancanza di smartphone con la fotocamera da 50 megapixel, Rosellini e Champollion si portarono appresso una équipe di disegnatori: dovevano semplicemente «documentare alla perfezione il materiale preso dalle pareti di templi e tombe». La parte toscana della spedizione arrivò nel porto di Livorno tra novembre e dicembre del 1829 con qualcosa come duemila reperti destinati al Museo Archeologico di Firenze e uno straordinario patrimonio di documenti, oggi conservato presso la Biblioteca Universitaria di Pisa: oltre 20mila carte, tra quaderni di appunti, note manoscritte, lettere, testi e oltre mille meravigliosi disegni, molti dei quali acquarellati che saranno in mostra a Pisa per questo bicentenario.