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LO STRANO CASO

L’ennesimo commissario: arriva Cuccaro sulla ruota di Napoli

Ci sono i nomi e le intese ma da oltre 5 mesi le Autorità di Sistema aspettano le nomine dei presidenti

La portualità made in Italy ha bisogno che al timone vi siano figure senza paura come Richard Matthew Evans, qui ritratto nella statua che gli ha dedicato il suo paese nel Galles, al termine di una carriera che lo ha visto impegnato in quasi 200 salvataggi

ROMA. Fa un altro passettino in avanti l’estenuante romanzo d’appendice relativo alle nomine dei nuovi presidenti delle Autorità di Sistema Portuale: paradossale perché si trascina da aprile – cioè più di cinque mesi – e ha a che fare più o meno con il solito giro di nominativi. Oltretutto senza che la grana principale sia quella prevedibile: il rischio di uno scontro-impasse nel consenso (obbligatorio) dei governatori di ciascuna delle istituzioni portuali interessate. L’intoppo sta nel fatto che le commissioni parlamentari devono dare un parere che sarà appena consultivo e però è un passaggio necessario: dunque, basta rallentare la “calendarizzazione” della seduta, rallentarla fino allo sfinimento da mesi e mesi, ed ecco che tutto si blocca. Anche se quel parere conta quel che conta e se la qualità del dibattito è quella che è: se avete tempo da perdere guardatevi sui canali tv del Parlamento o su Youtube come vengono vagliati i candidati…

I tempi da moviola anche di questa nomina

Un passettino, stavolta sulla ruota di Napoli-Salerno: Eliseo Cuccaro è stato nominato dal ministro Matteo Salvini «commissario straordinario dell’Autorità di Sistema portuale del Mar Tirreno centrale, con sede a Napoli», com’è dettagliato nel comunicato del dicastero. Specificando che «l’incarico commissariale, a decorrere dal prossimo 7 ottobre, è finalizzato ad assicurare la continuità amministrativa e la piena operatività dell’Autorità fino al ripristino degli organi di vertice ordinari» (non manca un «sentito ringraziamento» al presidente uscente Andrea Annunziata per aver tenuto in piedi la baracca «negli ultimi mesi» così incerti).

È istruttivo dare un’occhiata alla parabola temporale della nomina di Cuccaro, contestato agli inizi sia da M5s che dall’armatore Grimaldi. Il nome di Cuccaro, in quel momento al timone della flotta di Alilauro, viene ufficialmente indicato dal ministro agli inizi di luglio per ottenere l’intesa dal presidente della Regione Campania. È De Luca del Pd ed è in quel momento allo scontro frontale con il proprio partito: invece non accade niente di drammatico. Semmai i guai arrivano il fuoco incrociato: diversamente dallo schema standard che in questa partita delle Autorità portuali vede duellare Lega contro Fratelli d’Italia, nel suo caso è Forza Italia che sembra volersi mettere di traverso. Benché Cuccaro abbia l’ok della commissione di Montecitorio.

Il leader leghista Matteo Salvini, vicepresidente dek consiglio e ministro delle infrastrutture

L’odissea di Trieste senza pace dopo l’era D’Agostino

Ma questa è solo una delle tante storie di portualità rimasta a bagnomaria. Trieste, ad esempio: un ciclone giudiziario travolge il “candidatissimo” Rosario Antonio Gurrieri che, proclamandosi innocente, però molla tutto mentre la commissione parlamentare passa al vaglio la sua nomina. Molla tutto nel senso che si è stufato e non solo rifiuta di fare il futuro presidente ma anche, fin dalla mattina dopo, il commissario di transizione verso sé stesso. Risultato: bisogna trovare in un batter d’occhio chi tenga aperto il porto. Salvini pesca un dirigente in forte ascesa (Donato Liguori) e lo invia a fare il “commissario al posto del commissario”, diciamo così. Ma solo «fino al 30 settembre».

Il commissario deve fare la spola fra Trieste (dov’è commissario) e Roma (dove ha ovviamente mantenuto il posto di rilievo che aveva, sarebbe sciocco lasciarlo per un incarico-ponte di poche settimane). Gli è stato intanto messo al fianco un vice per dargli una mano. Il 30 settembre arriva e al ministero sono in ambasce: tutti sanno che deve essere nominato Marco Consalvo, manager che guida la società aeroportuale triestina. Ma forse c’è ancora qualcosa in sospeso da risolvere in aeroporto, forse il manager non vorrebbe granché finire in una girandola di sberle fra partiti senza averne lui nessuna colpa. Fatto sta che Trieste è lì, galleggia e aspetta una soluzione. Un po’ alla zitta, il ministero proroga Liguori. È l’odissea di Trieste dopo la fine dell’era di Zeno D’Agostino: e stiamo parlando di dimissioni annunciate prima dell’inizio della primavera dello scorso anno…

E tutte le altre nomine intanto? A luglio c’erano stati impegni a sbloccare la situazione prima della pausa estiva. Poi si erano messe le mani avanti: forse proprio per tutte le Autorità di sistema non sarà possibile. Poi poi: forse è meglio evitare strappi e penultimatum, meglio far passare il break di ferragosto, ma subito dopo vedrete. Poi poi poi: prima è arrivato settembre, ora è iniziato ottobre. L’unica certezza è che in Veneto entro il 25 ottobre bisogna presentare i nomi dei candidati.

Si susseguono in quest’autunno le elezioni regionali: a fine novembre in Veneto

Tutto dipende dallo scontro nel centrodestra su chi avrà il Veneto

Cosa c’entra? Una delle ipotesi su questo tira-e-molla sia legato allo scontro interno al centrodestra: Fratelli d’Italia è di gran lunga il partito egemone (da solo ha grossomodo il doppio dei consensi di Lega e Forza Italia) e si è stufato di non avere qualcuno dei suoi alla guida delle Regioni più importanti: a maggior ragione adesso che Acquaroli, fedelissimo meloniano, ha vinto nelle Marche con ampio margine. Il punto è il dopo Zaia nel Veneto, cuore del Nordest che fa da locomotiva al Pil: Lega e Fratelli d’Italia rivendicano la leadership.

In effetti, alle regionali di cinque anni fa la Lega poteva far valere il proprio quasi 17%, oltre allo straordinario risultato di Zaia (44%), contro Fdi sotto il 10%. Ma il sorpasso è già avvenuto: nel voto di tre anni fa per il Parlamento il partito di Meloni è volato in Veneto sopra il 32%, più del doppio del Carroccio di Salvini; alle europee dello scorso anno, sempre in Veneto, Fdi ha superato il 37% e la Lega è arrivata appena sopra il 13%. E nelle Marche, ultimo test elettorale disponibile, Fratelli d’Italia p andato al di là del 27% e la Lega è rimasta inchiodata a poco più del 7%, sorpassata perfino da Forza Italia.

Da tradurre così: si capisce perché Fratelli d’Italia punti con tanta forza a conquistare la guida del centrodestra in Veneto. O ottiene il candidato “governatore” o mette in cassaforte un credito: il round successivo sarà il Friuli. In vista del bersaglio grosso: prendersi la leadership della Lombardia e il rapporto con i ceti produttivi. Del resto, nel prossimo voto regionale lombardo il leghista Attilio Fontana avrà esaurito la corsa dopo due mandati e ci sarà da ridiscutere tutto: gli equilibri dei numeri sono all’incirca ovunque, un po’ più un po’ meno, quelli indicati sopra. Ecco perché in una partita di potere reale come quella di chi ha in mano le leve della portualità c’è un tal livello di asprezza dello scontro.

In commissione l’ok a Bagalà, Gasparato e Piacenza

Tornando alle Autorità di sistema, nel frattempo qualcosa c’è stato: la commissione della Camera ha dato semaforo verde alla nomina di Domenico Bagalà (Cagliari), di Matteo Gasparato (Venezia) e di Paolo Piacenza (Gioia Tauro) come presidenti. Il verdetto delle commissioni è la traduzione in voti dell’armistizio che, pragmaticamente, centrodestra di governo e opposizioni devono aver in qualche modo raggiunto: basti dire che non c’è nemmeno un voto contrario, in questa infornata di figure ritenute a torto o a ragione più vicine al centrodestra i dem si sono astenuti o non hanno partecipato. Del resto, il responso sembra in fotocopia: 21 aventi diritto, 17 votanti effettivi, 4 astenuti e 17 sì. Questo vale per Bagalà e per Gasparato. Per Piacenza i presenti scendono a 19, i sì sono 16 e gli astenuti 3. Ma a guardare bene nell’urna – il voto non è segreto, anzi resta agli atti – si scopre che due deputati forzisti hanno votato solo Gasparato e non hanno partecipato al voto su Bagalà e Piacenza, due deputati M5s hanno votato sì a Bagalà e non hanno preso parte alle altre due votazioni, un deputato di Più Europa ha detto sì a Piacenza (e nelle altre circostanze ha dichiarato la propria astensione).

Si intuisce qualche movimento sotto traccia: peraltro ininfluente su un verdetto ininfluente. Quel che influisce davvero è il fatto che sono passati più di 160 giorni da quando il ministero ha messo sulla rampa di lancio le nomine relative alle Autorità di Sistema Portuale di Livorno-Piombino, di Ravenna, di Bari-Brindisi, di Taranto. Quasi cinque mesi e mezzo. L’unica risolta: Genova. Pensierino della sera: e se fosse questa la “riforma della riforma della riforma”?

Mauro Zucchelli

Pubblicato il
4 Ottobre 2025
Ultima modifica
6 Ottobre 2025 - ora: 23:42
di MAURO ZUCCHELLI

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