Il “mar di Svizzera” a caccia di nuove opportunità sul fronte del porto
Nell’era dell’incertezza per dazi e geopolitica serve un surplus di affidabilità

La nuova edizione “Un mare di Svizzera”
LUGANO (Svizzera). La Svizzera dista quasi 250 chilometri dal molo più vicino eppure è elvetica la prima flotta al mondo nel traffico container: basterebbe solo questo per dire che il mare, almeno in un certo qual senso, “bagna” la Svizzera. Si spiega dunque perché sia del tutto centrato il titolo del forum “Un mare di Svizzera”, iniziativa che a Lugano è giunta alla sua ottava edizione. Del resto, i traffici marittimi sono fatti di navi ma anche di merci: e le merci, è bene tenerlo presente, non sempre hanno né origine né destinazione in riva al mare. E siccome di Svizzera si parla, inutile dire che l’attenzione è innanzitutto alle problematiche di finanziamento delle nuove infrastrutture di logistica e di trasporto: è di questo che si p occupata una delle tavole rotonde sotto i riflettori (le altre due sono state dedicate allo sviluppo del sistema portuale ligure in diretta connessione con la Svizzera e alle nuove rotte delle materie prime post-dazi).
Secondo uno studio della McKinsey, richiamato nella relazione di Paolo Costa, alle spalle il ruolo da presidente della commissione trasporti del Parlamento Europeo, da qui al 2040 dovranno essere attivati investimenti per 36mila miliardi di dollari in infrastrutture di trasporto e logistica: una enormità per le risorse della Ue, se teniamo presente la fine degli effetti del Pnrr e il piano europeo per il riarmo. Come è saltato fuori dagli interventi al forum elvetico, sarà quindi indispensabile – è stato detto – attivare «tutte le possibili opzioni specie di partenariato pubblico-privato, ad esempio indirizzando verso i porti e i retroporti una parte di quei finanziamenti derivanti da fondi pensione che oggi sono stati dirottati, ex lege, verso i “venture capital”.
In ballo, secondo quanto viene riferito ai tavoli del forum, la caccia a due milioni di container che potrebbero essere «potenzialmente preda dei porti italiani». Come riuscirci? Incertezza e affidabilità, queste le parole d’ordine lanciate dalla tribuna di Lugano. Da un lato, c’è una situazione di incertezza: la realtà di mercato – viene fatto rilevare – costringe a procedere “a vista” «affrontando le incertezze ogni qualvolta si presentano: incertezze derivanti dalla situazione geopolitica, ma anche dagli equilibri sempre più precari in termini dazi, scarsa uniformità normativa, protezionismo». Dall’altro, c’è la necessità sempre più sentita di creare (in primis nei porti italiani) situazioni di affidabilità assoluta: è così che diventa possibile sperare di attirare investitori internazionali.
Il viceministro Edoardo Rixi insiste sul «bisogno di regole certe»: è «una priorità assoluta», dice sottolineando che vanno in questa direzione le scelte compiute nello scalo genovese in tema di concessioni.

I partecipanti
Sull’affidabilità batte anche il neo-presidente dell’Authority genovese, Matteo Paroli, citando le recenti delibere per stabilizzare le concessioni e fornire risposte di piena affidabilità agli operatori internazionali. A Genova la questione relativa all’affidabilità anche normativa – viene messo in evidenza – sarà «ancora più determinante», considerando i 3,3 miliardi di investimenti in atto e lo sforzo in digitalizzazione per consentire a quei 2 milioni di container che potrebbero essere attirati verso i porti italiani di scorrere attraverso un sistema logistico efficiente in collegamento con le industrie italiane ed europee.
Resta il fatto che sui mercati della logistica, dei porti, delle commodities, dei dazi incombono molti fantasmi «difficilmente razionalizzabili»: fra questi, viene citato quello della Cina («e del suo ruolo crescente sulle rotte marittime e sul commercio»). Al contrario, secondo il parere quasi corale dei partecipanti al forum, l’Europa dovrebbe essere «più coraggiosa e più realistica»: anche nella prospettiva – viene detto – di minacce future alla centralità del Mediterraneo. Esempi? La prima che viene in mente è la rotta artica, ed è legata (non a caso) a uno sviluppo di marca cinese.
Quali ricette applicare? Secondo Fabio Regazzi, consigliere agli stati e presidente dell’Unione Svizzera delle Arti e dei Mestieri, le risposte devono essere ispirate a un grande pragmatismo: è quel che interessa in Svizzera, “pianeta” di oltre 600mila aziende sotto i 250 dipendenti e che potrebbero trovare soluzioni anche in una serie di accordi di libero scambio con India, Cina, Malesia, Mercosur.
Nelle tavole rotonde si sono alternati esperti in finanza internazionale come Fabrizio Vettosi (Vsl Club), Gabriele Corte (Ceresio Investors), Enrico Loewenthal (Equiter Sgr) e l’armatore Stefano Messina (Assarmatori) che ha affrontato in modo assai pragmatico il tema dell’investimento in nuove navi.
La tavola rotonda sulla portualità e la logistica ha visto la partecipazione di Gianluca Croce (Assagenti), Ignazio Messina (Gruppo Messina), Ugo Patroni Griffi (professore di infrastrutture e logistica sostenibili dell’Università Aldo Moro di Bari), Juan Pablo Richards (Hapag-Lloyd), Bruno Pisano (presidente dell’Authority del Mar Ligure Orientale) che ha sottolineato l’esigenza di fare sistema per la portualità italiana, un aspetto questo peraltro segnalato anche dal viceministro Rixi (che ha altresì preannunciato l’imminente “check” su tutte le concessioni nei porti italiani).
Ultima sessione sulle nuove rotte delle “commodities” con un quadro tracciato da Giovanni Colotto, numero uno di Rocktree Italia e con la partecipazione, oltre a quella di Fabio Regazzi, di Vincenzo Romeo e Marco Fiori, amministratori delegati l’uno di Nova Marine Carriers e l’altro di Premuda.