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LIVORNO: PERSONAGGI

Cinque flash per raccontare don Paolo che oggi spegne le prime 80 candeline

Monsignor Paolo Razzauti, per tutti semplicemente “don Paolo”, prete livornese classe ’45, ha raccontato la sua vita nel libro “Piazza Grande”

LIVORNO. Prima di tutto una ammissione: qui non c’entrano né il porto né i teu, i traffici ro-ro o i transtainer. Anche se non lo so se sia proprio così: non ci giurerei che don Paolo non abbia messo lo zampino nello sbrogliare qualche guaio perfino fra banchine e dintorni: del resto, negli anni ’90 non si era infilato fra gli orfanotrofi dell’ex Urss allo sfacelo pur di aiutare giovani coppie a adottare uno dei quei bambini smarriti nel naufragio d’un sistema? Qui scrivo perché oggi, 9 ottobre, monsignor Paolo Razzauti spegne le sue prime 80 candeline: compleanno nello stesso giorno di anime inquiete d’artista come John Lennon o Caparezza e Jackson Browne ma anche anniversario dell’assassinio di Che Guevara, mentre lui è “solo” un prete-simbolo della cittadella “rossa” di Livorno, venuto al mondo in quell’immediatissimo dopoguerra rappresentato da un presente di macerie ma con un futuro di speranza.

Oggi don Paolo – tutti lo chiamano così, il “mons.” lo lasciano a chi gli si rivolge in modo formale – festeggia con un suo personalissimo “Te Deum” al santuario di Montenero.

Questo prete che, come ricorda Juna Goti, cronista del “Tirreno”, nel nickname della mail richiama il libeccio, da dove cominciare a raccontarlo? L’ho fatto tante volte, l’ultima nel libro scritto a quattro mani per l’editore diocesano, e riprenderei a farlo partendo da un episodio. Sono appena morti in modo tragico quattro bambini rom sotto il cavalcavia della disperazione, in città monta una certa rabbia contro i genitori e le istituzioni chiedono a don Paolo se per i funerali può concedere l’uso della cattedrale. Anche se c’è un “però”: si tratta di famiglie di religione ortodossa. Comunque sia, è lui a dover dare una risposta: in quei mesi la diocesi di Livorno è senza vescovo e lui è stato nominato reggente.

Monsignor Razzauti alle ex terme liberty del Corallo a Livorno

La risposta in cuor suo se l’è già data, ma si rivolge all’ex vescovo Diego Coletti e all’arcivescovo metropolita Alessandro Plotti e chiede consiglio: gli danno il via libera. Del resto, è da tempo che la diocesi ha pensato di dare un chiaro segnale di accoglienza anche religiosa ai tanti migranti: la chiesa della Misericordia è affidata alla comunità rumena perché, anche se cristiani non esattamente cattolici, vi celebrino i loro riti. Insomma, don Paolo dice sì.

Lo sa benissimo che qualcuno avrà da storcere il naso ma, dopo che papa Ratzinger in persona lo fa contattare per dirgli la vicinanza nella preghiera e parole affettuose di cordoglio, forse non si immaginerebbe il gelo da pack artico che lo accoglie in Vaticano quando tempo dopo un cardinalone, uno di quelli dal nome pesantissimo, gli farà una rimbalzata memorabile. Lui non lo dice ma è da pensare che l’avesse messo nel conto di giocarsi la nomina a vescovo: c’era una cosa giusta da fare e l’ha fatta, senza tanti “se” o “ma”: col cuore in mano e basta.

L’antifona la capisce quando d’improvviso, complice anche un ricambio nella nomenklatura vaticana, i contatti in vista della promozione si congelano e poi spariscono del tutto. In effetti, dall’altra parte del tavolo, quel giorno in Vaticano il cardinalissimo era uno di quelli che celebreranno l’orazione funebre per papa Francesco, tanto per avere l’idea del calibro.

Ma questa è una storia che ho già raccontato sul “Tirreno” e nel libro di don Paolo. Ci sono invece tre vicende che, parlando con lui proprio per quel volume, ho scoperto cammin facendo. La prima riguarda il giorno in cui viene ordinato prete, lui l’ex ragazzo di San Jacopo che dice la prima messa nella parrocchia di San Jacopo: in chiesa c’è anche lo stato maggiore della sezione sanjacopina del Partito Comunista. Mica era state sempre rose e fiori, fra i “bianchi” e i “rossi” a cavallo del ’48: gli uni a prendere di mira la parrocchia, gli altri (compreso forse don Paolo non ancora “don”), a mettere la colla nella serratura delle sede Pci. Ma i legami di quartiere sono quel che conta, e i comunisti sono lì. Così come era il barbiere comunista a portarlo talvolta a vedere le partite del Livorno…

Il secondo flash riguarda il giorno in cui si accampano i giostrai ai margini dei confini della parrocchia di Sant’Agostino, dove il giovane “don” è in servizio. Risultato: anche qui i legami di quartiere sono quel che conta, e un gruppo di parrocchiani va a prendere contatto con il circo, che la domenica mattina si trasforma in un tempio e il prete va a dir messa là dove poco più tardi si esibiranno clown e trapezisti. Come dice il “don”: «Quando mi chiedono se qualcosa mi spaventa, gli rispondo: figuriamoci, ho lavorato nel circo».

Il terzo riguarda gli anni in Banditella: c’è da tirar su una chiesa che sia anche una comunità e non soltanto quattro mura. Ancora una volta, quel che conta sono i legami costruiti sul territorio, con la gente che ha un volto e una storia, anche quando qualcosa non quadra per il verso giusto. Anzi, soprattutto allora.

Don Paolo in un video pubblicato sul canale Youtube della Diocesi di Livorno

Ma è il quarto tassello la parte del puzzle che mi sta più a cuore, e non riguarda l’apice della carriera ecclesiastica di don Paolo, cioè il periodo da reggente della diocesi, poco meno di un vescovo facente funzioni. Mi riferisco invece al don Paolo rettore del seminario. È un aspetto che, pur conoscendolo da una vita, giocoforza avevo perso di vista non essendo seminarista. Lui mi racconta che al vescovo aveva detto no, poi no, ancora no. Infine sì: anche se l’incarico gli era stato affidato «quando ormai pensavo di dover tirare i remi in barca, quando mi immaginavo di poter covare le mie piccole abitudini quotidiane».

Non sarà così: il periodo in cui i giovani si preparano a diventare prete è una scelta di vita e il rettore del seminario ha il compito anche di dire qualche no. Anzi, tanti no: fermare chi ritiene che stia sbagliando strada. Non è vero che la Chiesa rincorra chiunque pur di farlo diventare prete, vista la crisi delle vocazioni e gli enormi “vuoti” che si spalancano nella “pianta organica”: non don Paolo. Con la responsabilità di dover fermare l’idea così coinvolgente di dedicare la vita a Dio, di dover consigliare qualche giovane a seguire altri percorsi di vita: e farlo vivendo a stretto contatto con loro, disponibile a colloqui e incontri senza che vi sia l’orario di ricevimento: 24 ore su 24 con l’uscio aperto.

Nel frattempo, don Paolo ha tenuto spalancata la sua piazza online: ed è curioso che, nell’era dei social del rancore, nella sua “piazza” virtuale si incontri tanta gente. No, non c’è odor di sacrestia: anzi, forse la maggior parte di chi “passa” non ama i lumini e non ha mai messo piede in chiesa.

Mauro Zucchelli

 

 

Pubblicato il
9 Ottobre 2025
di MAURO ZUCCHELLI

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