Una nave cisterna su sette appartiene alla flotta-ombra russa aggira-sanzioni
«Con i nuovi giganti del trasporto auto il governo cinese invade il mercato europeo»

Flotta-ombra russa
GENOVA. La flotta-ombra di navi petroliere russe che aggirano le sanzioni rappresenta qualcosa come «il 15% della flotta mondiale di navi cisterna». È uno degli spunti emersi nel confronto fra operatori organizzato dal Gruppo Giovani di Assagenti, l’appuntamento dei giovani agenti marittimi all’interno della “Genoa Shipping Week”.
Vale la pena di approfondire per un attimo quest’aspetto facendo riferimento a quanto riporta la società di intelligence marittima “Dryad Global”: la flotta di petroliere ombra in mano alla Russia è «più che triplicata dall’inizio del 2022». L’aggiramento delle sanzioni occidentali avviene – a dar credito a quanto riferito – mediante la disabilitazione dei sistemi di identificazione automatica, l’occultamento di chi siano i reali proprietari, il frenetico cambiamento delle bandiere, l’operatività utilizzando minime coperture assicurative. Il citato dossier informa che si è passati «da meno di 100 petroliere all’inizio dell’aggressione all’Ucraina a circa 300-600 navi agli inizi di quest’anno».
In che modo è stato possibile: rastrellando vecchie navi, visto che i report indicano che questa flotta-ombra ha in media 20-25 anni, «ben al di sopra dei 13 anni che rappresenta la media in questo settore».
Le contromosse sono state l’inserimento di una serie di petroliere nella lista delle sanzioni: gli Stati Uniti ne hanno aggiunte 183 a gennaio, l’Unione Europa grossomodo altrettante a maggio (e ne aveva inserite 74 a febbraio), il Regno Unito poco meno d’una trentina a marzo. Tutto insieme valgono ben 25 milioni di tonnellate cancellate.
Per capire quanto sia complicato capirne qualcosa, vale la pena di ricordare un episodio rimasto alquanto sottotraccia risalente al febbraio scorso: con la procura di Genova e l’antimafia che hanno indagato per sospetti di terrorismo (anche con un sopralluogo dei sommozzatori del Comsubin della Marina militare). Al centro dell’attenzione la misteriosa doppia esplosione che ha colpito la petroliera di una compagnia greca in un porto ligure.
Il fatto che il tracciamento delle rotte della nave avessero nei mesi precedenti toccato porti russi ha generato l’ipotesi che potesse esser stata impiegata in trasporti di petrolio russo in modo da aggirare le sanzioni e, secondo quanto riferito da “Shipping Italy”, gli investigatori sospettassero che le esplosioni fossero una sorta di avvertimento. Al tempo stesso, però, non figura in nessuna black list e «nemmeno può ritenersi parte della cosiddetta dark fleet russa (flotta ombra) dal momento che viene regolarmente operata da una primaria compagnia greca». Sta di fatto che, come indica la testata online genovese, l’agenzia di stampa Reuters ricorda che quella era «la terza esplosione sospetta avvenuta in danno di navi tanker nel Mediterraneo nell’ultimo mese».

Lorenzo Giacobbe, Assagenti
Non è quello della flotta-ombra russa l’unico aspetto che merita attenzione fra quanto emerso nell’iniziativa del Gruppo Giovani di Assagenti presieduto da Lorenzo Giacobbe, che ha messo in luce anche elementi di riflessione contro-corrente rispetto a convinzioni diventate nell’immaginario collettivo. Lo si è visto, ad esempio, nei vari interventi di Enrico Paglia (Bancosta), Carlo Binello (Cma Cgm Italia), Andrea Arena (Hb Shippnig), Giulia Malnati (Nyk Line) e Tommaso Scolaro (Scolaro Shipbrokers): in un confronto moderato da Gian Enzo Duci, nel suo duplice ruolo di imprenditore marittimo e docente universitario.
Non è affatto casuale ogni riferimento alla tanto temuta rotta artica che dovrebbe «consentire alle navi (specie cinesi e russe) di tagliare i tempi di trasporto delle merci transitando fra i ghiacci dell’Artico»: però nello scorso anno ha visto transitare «una novantina di navi contro le oltre 12mila che hanno seguito la tradizionale rotta di Suez, anche se “azzoppata” dal pericolo degli attacchi degli houthi».
Un altro tassello da aggiungere al puzzle ha a che fare con il mercato del trasporto auto: la Cina – è stato fatto rilevare – ha mutato completamente ruolo e, da grande importatore che era, si è trasformato in grande esportatore («anche grazie alle politiche suicide del “green”», è stato detto). Con una conseguenza concreta: le navi hanno raddoppiato dimensione e portata (da 4mila a oltre 9mila auto) sono «sempre più spesso di proprietà delle case produttrici, e quindi del governo cinese, il cui interesse preponderante è la penetrazione sui mercati occidentali mentre il nolo considerato una variabile indipendente».
A proposito di noli, nel confronto fra operatori è stato messo in risalto un cambiamento strutturale nella determinazione del prezzo di trasporto della merce: anni addietro erano determinati dalle dinamiche interne del mercato, oggi quel che incide di più («e in modo spesso incontrollabile anche sulla gestione delle compagnie armatoriali») ha a che vedere con la globalizzazione e la geopolitica, le scelte improvvise in materia di dazi o di tassazione così come strategie di lungo periodo tipo l’Ets (la tassa europea sulle emissioni che condiziona i “conti” di ogni singola nave).
In un contesto di incertezza generale, il successo – lo ha rimarcato Vincenzo Romeo, amministratore delegato di Nova Marine Carriers – lo determina sì «il fattore coraggio nelle scelte degli armatori ma anche il fattore fortuna…».
È da aggiungere che il mondo del trasporto container, «protagonista negli anni recenti di clamorose performance di redditività», va incontro a tutta velocità a uno «squilibrio fra domanda e offerta di servizio di trasporto». Ecco gli aspetti che potrebbero dare un colpo alla redditività del settore: da un lato, la riapertura a pieno regime di Suez; dall’altro, il numero bassissimo di navi demolite in tandem con «la massiccia entrata in servizio di nuove unità a cavallo fra il 2026 e il 2027». Tutto questo – come indicato dal presidente di Federagenti, Paolo Pessina – avviene in un mercato che già oggi soffre le conseguenze di fenomeni di congestione portuale e che «forse non è mai riuscito a spiegare a fondo ai decisori pubblici, specie a Bruxelles, il livello dei danni che normative sbagliate possono produrre».
Per Stefano Messina, numero uno di Assarmatori, è un «mercato fragile e delicato»: fa sempre di più «fatica ad attirare capitali e finanza, tenuti lontani dall’assenza di certezze sul loro investimento».
Sotto la lente del convegno genovese è finito anche il comparto dei traghetti e dei collegamenti di cabotaggio ad esempio con le isole: è stato evidenziato che il settore pubblico ha «clamorosamente fallito tutte le volte che ha pensato di potere gestire autonomamente questi collegamenti». Oggi cosa ha davanti a sé questo settore? Occhi puntati sul doppio problema: da un lato, rinnovare le flotte; dall’altro, garantire remuneratività a «quelle società private che tengono in piedi l’intera rete di collegamenti garantendo anche la continuità territoriale». Lo ricorda Aldo Negri: i biglietti passeggeri o i noli, specie nei collegamenti con isole minori o comunque di corto raggio, «non sono sufficienti talora a coprire i costi di esercizio, men che meno l’investimento in nuove navi, peraltro in un mercato delle navi di seconda mano che non esiste».