Golfo Persico ad alta tensione: catturata (forse dall’Iran) una petroliera occidentale
Il dirottamento attribuito ai pasdaran: gli effetti su Hormuz (e il petrolio)

DUBAI. Dovrebbero esser stati i miliziani delle guardie rivoluzionarie iraniane a sequestrare una petroliera riconducibile a un gruppo armatoriale cipriota e battente bandiera delle Isole Marshall: è avvenuto nel Golfo di Oman, dopo aver oltrepassato lo stretto di Hormuz è stata portata verso le sponde iraniane. Varie fonti del settore sicurezza parlano di «tre piccole navi» che hanno imposto alla petroliera di deviare la rotta: una sorta di “dirottamento”: una notizia che sembra finora passata inaspettatamente sotto traccia rispetto alla portata che può avere. A maggior ragione se pensiamo che pochi giorni fa – ma in quel caso dovrebbe trattarsi di pirati – una nave è stata attaccata al largo della Somalia ma in una zona finora indenne da questo tipo di azioni, più vicino alle Seychelles che alle coste africane.
DALL’ARCHIVIO/1: qui il link all’articolo della Gazzetta Marittima in cui si dà notizia dell’ultimo attacco di pirati a una nave commerciale occidentale e in una zona finora indenne da minacce
La società che ha in gestione la nave ha dichiarato alla stampa internazionale di aver perso il contatto con la nave quando era in navigazione da Sharjah, scalo emiratino una dozzina di chilometri a nordest di Dubai, con destinazione Singapore trasportando gasolio ad alto tenore di zolfo.
Secondo le informazioni raccolte, la nave sarebbe stata intercettata dalle guardie rivoluzionarie – forse la componente militare a maggior fedeltà ideologica e sostanzialmente braccio armato della massima autorità religiosa iraniana – appena al di là dello sperone di territorio che divide in due il Golfo Persico con lo stretto di Hormuz: stando ad alcune fonti a 20 miglia a oriente di Khawr Fakkan, secondo altre a 22 miglia. Le mappe internazionali di tracciamento nave indicano come ultima posizione nota un punto circa 9 miglia al largo delle coste di Khor Koh Mobarak: ma si tratta di una segnalazione che risale alle 9 del mattino di venerdì 14, poi nient’altro: probabilmente il comandante della petroliera è stato costretto a disattvare il sistema Ais che fornisce la posizione quasi attimo per attimo.
Su X, l’ex Twitter, dall’account ufficiale della Quinta Flotta degli Stati Uniti si conferma l’episodio senza scendere in dettagli, salvo un doppio accento: 1) «stiamo tenendo d’occhio attivamente la situazione»; 2) le flotte commerciali hanno diritto alla più ampia libertà di navigazione in alto mare».

Il flash diramato dall’Ukmto, ufficio britannico nato per iniziatva della Marina inglese per tenere d’occhio la sicurezza della navigazione
L’Ukmto, un ufficio nato per iniziativa della Marina militare britannica e operante da Dubai soprattutto per contrastare la pirateria (principalmente al largo della Somalia), si è limitata inizialmente a segnalare il “dirottamento” della nave. È in un aggiornamento successivo che precisa come l’azione sia da attribuire ad «attività statale», dunque non a pirati. Con due avvertimenti: da un lato, «le autorità continuano a indagare»; dall’altro, «si consiglia alle imbarcazioni di transitare con cautela e di segnalare qualsiasi attività sospetta all’Ukmto».
Attorno allo stretto di Hormuz non sono mancate le tensioni geopolitiche negli ultimi mesi: un po’ perché in quella zona si concentrano le iniziative di chi contrabbanda petrolio; un po’ perché è considerato una sorta di “rubinetto” per controllare il flusso di una buona quota del petrolio destinato all’Occidente per alimentare l’economia (in audizione in commissione esteri di Montecitorio a metà ottobre Laura Cozzi, direttrice di settore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia ha parlato di «almeno il 20 per cento sia delle petroliere sia del gas naturale liquefatto»).
L’aveva segnalato a giugno l’ufficio studi di Confitarma, l’organizzazione confindustriale degli armatori: da Hormuz «transita circa l’11% di tutti i volumi commerciali marittimi globali». E questo, vale la pena di tenerlo ben presente, comprende:
- il 34% delle esportazioni di petrolio via mare,
- il 30% delle esportazioni di Gpl,
- il 20% del commercio di Gnl,
- il 18% del commercio di prodotti chimici,
- il 7% del commercio di automobili,
- il 3% del commercio globale di container,
- il 2% del commercio di rinfuse solide.
DALL’ARCHIVIO/2: qui il link all’articolo della Gazzetta Marittima in cui si spiega, sulla base di un report di Confitarma, quanto “vale” il passaggio dallo stretto di Hormuz in termini di traffici di merci
Fatto sta che questo “dirottamento” è un aspetto nuovo dell’ultima fase, secondo quanto riporta il quotidiano israeliano “The Jerusalem Post” che cita in forma anonima un funzionario degli Stati Uniti: lo fa per rimarcare la novità, visto che è la prima petroliera occidentale “catturata”, a quanto risulta, da forze agli ordini delle autorità iraniane dopo il blitz americano-israeliano con l’attacco militare di giugno (ascritto, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, all’esigenza di impedire all’Iran di diventare una potenza militare nucleare). La fonte anonima statunitense citata ha indicato come «sorprendente» questo “incidente”, in quanto l’Iran aveva sì in passato “catturato” navi nel Golfo, ma non lo aveva più fatto negli ultimi mesi.
Non dimentichiamoci peraltro che il parlamento iraniano – lo ricorda l’Istituto di studi per la politica internazionale (Ispi) – aveva detto sì all’idea di chiudere lo stretto di Hormuz. Forse anche perché, come dimostra la tabella predisposta dall’Ispi (qui sotto), avrebbero danneggiato poco o niente gli odiati Stati Uniti, al contrario avrebbero invece fatto un regalone alla Casa Bianca infliggendo un colpo durissimo alle altre economie come Cina e India o come il resto dell’Occidente.

L’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) fotografa così l’impatto della eventuale chiusura di Hormuz
Resta da capire se l’episodio al largo di Khawr Fakkan resta confinato nei limiti dell’episodio o se, magari per motivi interni, Trump deciderà di cavalcarlo: a costo di smentire di nuovo l’impulso “isolazionista” che aveva promesso di voler dare alla sua seconda presidenza. Da quel che accadrà a 11mila chilometri da questa isoletta grande meno di metà della metà dell’Elba, senza vegetazione, senza acqua e con un gruzzoletto di abitanti: laggiù, nello studio ovale della Casa Bianca.
Mauro Zucchelli











