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Propeller e i nuovi orizzonti

NAPOLI – La XIII Convention nazionale dei Propeller Clubs, tenutasi nei giorni scorsi nella bella città campana, ha visto numerosi interventi anche di spessore (riportiamo qui a fianco a firma di Duci le considerazioni su uno dei temi principali svolti dallo stesso presidente genovese).
[hidepost]Da parte sua Umberto Masucci, presidente nazionale dell’International Propeller Clubs, ha così presentato la giornata: “Abbiamo scelto un tema che vuole unire le aree geografiche e le generazioni e inserito relatori giovani a fianco di personaggi di spicco del settore. Quest’anno l’onore di ospitare la Convention, che si tiene ogni due anni, è toccato a Napoli ed il Propeller napoletano l’ha trasformata in un grande evento internazionale. Nel corso della giornata – conclude Masucci – abbiamo avuto anche, divisi tra mattina e pomeriggio, quattro brevi spunti di presidenti di Propeller Clubs locali (Mariano Maresca di Genova, Riccardo Fuochi di Milano, Simone Bassi di Ravenna e Renato Coroneo di Palermo) a testimonianza del radicamento territoriale del Propeller e delle idee che emergono dai nostri dibattiti”.
I portuali non solo come infrastrutture, ma come strumento al servizio delle imprese e delle loro relazioni commerciali, nonché come “polo” di attrazione di investimenti pubblici e privati, non solo logistici. I dati forniscono tre messaggi su tutti. Il forte grado di internazionalizzazione dei nostri porti, atteso che il 63% del traffico è relativo alla navigazione internazionale, e quindi la necessità di investire su di essi per avere strutture sempre più efficienti e moderne di fronte ai crescenti mutamenti dell’economia mondiale. Il comportamento sempre più temibile dei nostri competitor nell’ambito del bacino del Mediterraneo: tra il 2005 e il 2012 i porti hub della sponda Sud del bacino hanno incrementato la propria quota nel mercato dei container dal 18% al 27%. L’esistenza di nuovi orizzonti e di nuovi mercati ad alto potenziale, quali quelli dell’area MED Nordafricana e della Turchia: l’interscambio dell’Italia verso questi Paesi ammonta già a 65,7 miliardi di euro e, di questi, oltre il 70% (pari a 47,4 miliardi di euro) e quelle invece che fanno capo ad organismi che hanno ruoli amministrativi o di vigilanza (marina militare, guardia costiera, autorità portuali); dall’altro, tra tutti questi attori del cluster marittimo ed i soggetti esterni che influiscono trasversalmente sul funzionamento del cluster stesso (settori bancario, assicurativo, ecc.). Altrettanto importante è favorire l’integrazione delle attività marittime a livello regionale. Una simile integrazione può avere una connotazione produttiva o tecnologica ma comunque coinvolge una pluralità di attori: aziende industriali capofila con il loro indotto, istituti di ricerca, università, enti di formazione, istituti finanziatori. I cluster così formati operano per la diffusione di cultura e formazione marittima mirata, garantendo una migliore risposta del mercato locale del lavoro, promuovono l’innovazione e di conseguenza fungono da incubatori per nuove iniziative industriali o per lo sviluppo di quelle esistenti. Nello stesso tempo, si fanno promotori presso le istituzioni di un sistema di regole (ad esempio, in materia di finanza agevolata o in campo fiscale) coerente con il carattere delle attività maritime.
L’Italia, che è l’attore più forte dell’area mediterranea sotto il profilo economico e finanziario, può svolgervi un ruolo di leader ed esportare la propria esperienza in campo marittimo negli altri paesi costieri. I punti di forza di un cluster marittimo consistono nella capacità di elaborare una visione integrata delle esigenze del settore e creare sinergia; in relazione a ciò, rappresentare una interlocuzione credibile presso le istituzioni nazionali e dell’Unione europea. Per definizione, tutto ciò che riguarda il mondo marittimo trascende i confini politici dei vari paesi e gli interessi delle singole parti concretamente una volontà comune”.

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Pubblicato il
12 Giugno 2013

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