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Il cluster marittimo tiene primi in Europa per import

Le criticità sono legate alla carenza di infrastrutture, alla burocrazia e alla crescita dell’eccesso di stiva fino al 2012 – Le quattro macro-aree di crescita dei traffici nel mondo

ROMA – Sarà perché si vuol vedere il bicchiere mezzo pieno ma anche oggi il cluster marittimo italiano si conferma uno dei settori più dinamici dell’economia italiana contribuendo al PIL nazionale per 39,5 miliardi di euro (2,6% di quello totale, e l’11% di quello dei trasporti) e dà occupazione a circa il 2% della forza lavoro del Paese (477mila persone fra addetti diretti ed indotto).

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Questi alcuni dei dati del IV Rapporto dell’Economia del Mare introdotto dal segretario generale Carlo Lombardi realizzato dalla Federazione del Mare assieme al Censis e presentato a Roma presso la sede del CNEL alla presenza di numerosi operatori, dei senatori Baldassarri e Grillo e del presidente di Assoporti Nerli.

I dati confermano il posizionamento dell’Italia al 1º posto in Europa per importazioni via mare, con 185,4 milioni di tonnellate di merce, ed al 3º per esportazioni, con 47 milioni di tonnellate. Il nostro Paese mantiene poi la leadership anche nel traffico crocieristico (con 6,7 milioni di passeggeri), e nella costruzione di navi passeggeri e motor-yacht di lusso.

L’impatto delle attività marittime sull’economia italiana – come ha specificato nel suo intervento il presidente Paolo d’Amico – va oltre gli aspetti più strettamente legati alla loro dimensione trasportistica e coinvolge direttamente diversi settori produttivi dell’economia.
In termini di contributo al Pil, dopo i trasporti marittimi si collocano le attività di logistica portuale e ausiliarie ai trasporti (6,7 miliardi di euro di contributo), la pesca (4,4 miliardi), la cantieristica navale (4,3 miliardi) e la nautica da diporto (3,3 miliardi).

“Un aspetto che tengo a sottolineare – ha detto il presidente d’Amico – è che il sistema marittimo ha mantenuto negli ultimi anni il proprio peso, grazie ad un processo di riforma che ha reso competitive le sue componenti rispetto ai concorrenti esteri. Dopo la riforma della navigazione mercantile internazionale del 1998 sono stati investiti oltre 35 miliardi di euro nella costruzione di nuove unità navali, che hanno portato la flotta italiana a raddoppiare diventando così tra le principali al mondo, con posizioni di assoluto rilievo nei settori più sofisticati come quelli delle unità ro-ro e delle navi da crociera”.

“Oggi, in virtù di nuovi scenari di mercato – ha concluso il presidente d’Amico – chiediamo una rinnovata sensibilità a tutte le istituzioni, in modo da procedere speditamente su alcune delle necessità strategiche per la competitività del settore: fra di esse voglio sottolineare il mantenimento della normativa italiana ed europea sulla competitività della bandiera marittima, il collegamento dei nostri scali con le reti di trasporto terrestre, l’adeguamento dei fondali e la semplificazione di diverse procedure amministrative e fiscali”.

Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, ha ribadito “la capacità trainante del cluster marittimo italiano in un contesto da troppo tempo stagnante”. “Ritengo opportuno – continua Roma – che il sistema marittimo compia ancora una volta un salto di qualità, soprattutto migliorando la capacità dei propri nodi logistici di captare flussi commerciali in costante crescita, flussi che continuano ad avere come importante area di transito il Mediterraneo. Dalle proiezioni che il Censis ha elaborato, il cluster marittimo dovrà guardare con crescente attenzione non solo a mercati già in forte espansione, come quello dell’Asia orientale, dove gli interscambi marittimi da e per l’Italia crescono dalla metà degli anni 2000 a ritmi vorticosi, ma anche ad aree nelle quali il Paese, grazie al proprio armamento, può svolgere un ruolo di player di rango, come la sponda Sud del Mediterraneo (dove si colloca il 40% degli scambi da e per l’Italia), l’area Balcano-adriatica e quella del Golfo”.

Tenendo conto delle previsioni di crescita del Pil (proiezioni elaborate dal Fondo monetario internazionale) delle aree appena citate e dei livelli di correlazione con il traffico si stima quanto segue per il periodo 2011-2015.

a) l’area verso la quale l’Italia intensificherà maggiormente i propri interscambi marittimi potrebbe essere la Cina e Hong Kong; dagli attuali 8 milioni di tonnellate di scambi (erano più di 12 milioni nel 2008) si potrebbe arrivare nel 2015 a quasi 20 milioni di tonnellate;
b) la seconda area per tasso di crescita potrebbe essere verosimilmente la sponda Sud del Mediterraneo e l’area mediorientale. Si tratta di un’area per la quale nei prossimi anni è previsto un apprezzabile tasso di crescita dell’economia, a ritmi tali da segnalare la propensione a nuovi investimenti e all’apertura verso gli scambi internazionali;

c) la terza area verso la quale l’industria marittima italiana potrebbe migliorare considerevolmente il proprio posizionamento strategico dovrebbe essere quella balcanica, la cui economia è cresciuta notevolmente nell’ultimo decennio, così come gli interscambi via mare con l’Italia (aumentati in volume di oltre il 60% tra il 2002 e il 2009 e del 13% tra il 2005 e il 2009). Ulteriori indicatori provano per questi Paesi posti sulla sponda orientale dell’Adriatico una fase di espansione economica piuttosto sostenuta almeno tra i primi anni 2000 e il 2008;

d) è verosimile ritenere, inoltre, che anche da e verso l’area del Golfo Persico lo shipping italiano intensificherà la propria attività. I dati a disposizione mettono in evidenza come le principali rotte presidiate dall’armamento italiano siano quelle che dal Mediterraneo volgono proprio verso l’area del Golfo Persico (oltre che quelle verso l’Asia orientale), il cui Pil è stimato in crescita del 23% nel periodo 2010- 2015.

Le prospettive: dopo una contrazione molto marcata delle attività registrata nel 2009, già nel 2010 si è registrata un’incoraggiante ripresa dei livelli di traffico merci, sebbene permangono delle criticità che freneranno lo sviluppo, come la persistenza sul mercato internazionale di un forte avanzo di stiva (un eccesso di offerta di servizi di trasporto rispetto alla domanda) ed un valore dei noli che resta ampiamente al di sotto dei livelli precedenti alla crisi.

Nel primo semestre del 2010 sono tornati a crescere i traffici italiani di rinfuse solide (+25,4% in termini tendenziali) e quelle di general cargo (+5,5%), mentre risulta in flessione ancora (-2,3%) il traffico di container, in quanto alla fase di rallentamento determinata dalla crisi si è aggiunta la progressiva difficoltà di competere con i principali porti nordafricani, generalmente in grado di offrire prezzi medi più contenuti rispetto all’Italia, maggiori spazi per il deposito ed il trattamento delle merci, procedure burocratiche e servizi di assistenza alle merci più rapidi.

Le previsioni sono di:

– una consistente fase espansiva del general cargo e delle rinfuse liquide, in particolare considerando i traffici di prodotti petroliferi dall’area del Golfo Persico verso il Mediterraneo;

– un modesto sviluppo del traffico che l’Italia riuscirà a captare a causa della crescente competitività dei porti della sponda Sud del Mediterraneo;

– l’avanzo di stiva, con un conseguente eccesso di offerta di servizi di shipping rispetto alla domanda, che perdurerà almeno fino al 2012, con effetti di rallentamento della crescita sia dal lato del trasporto marittimo che di quello delle costruzioni navali;

– la bassa crescita a cui la cantieristica navale sarà sottoposta almeno nel prossimo anno, data la situazione di crisi strutturale per il momento registrata da questo comparto in Italia, sebbene la capacità competitiva del settore resti elevata (specie nel segmento delle navi da crociera);

– la lenta ripresa del settore della nautica da diporto, che a metà del 2011 mostra alcuni segnali positivi, grazie soprattutto alla ripresa delle esportazioni, mentre il mercato interno continua a scontare le carenze infrastrutturali e una politica fiscale da ammodernare.

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Pubblicato il
29 Ottobre 2011

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