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Malgrado tutto, bilancio positivo

Paolo d'Amico

ROMA – Ha iniziato in tono commosso Paolo d’Amico, ricordando che il primo rapporto sull’economia marittima del cluster che oggi presiede, la Federazione del Mare, fu presentato quindici anni fa da suo zio Antonio d’Amico: e fu uno dei primi esperimenti in Europa per dare voce unitaria al comparto.

Da allora la produzione di beni del cluster è passata da 21 a 35 miliardi, l’occupazione da 120 mila a 170 mila (310 mila con l’indotto). La sola navigazione mercantile “produce” oggi 22 miliardi ed occupa complessivamente 160 mila lavoratori (rispettivamente +55% e +59% in quindici anni).

Uno degli elementi di crescita – ha detto Paolo d’Amico – è stato certamente il registro navale internazionale, che ha portato al raddoppio della flotta italiana, oggi sopra i 17 milioni di tonnellate di stazza, con 35 miliardi di investimenti in nuove navi. Sono assured – ne consegue – e pericolose le ipotesi di una riforma di questo registro.

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Anche la riforma dei porti, con la legge 84/94, rese possibile all’Italia recuperare posizioni perdute, facendone oggi il primo paese europeo importatore ed esportatore via mare (con 240 milioni di tonnellate di merci) e primo in assoluto per passeggeri (6,7 milioni di croceristi e 47 milioni di cabotaggio). E il turismo via mare – crociere e diporto – può giocare un ulteriore importante ruolo nell’economia.

Il presidente ha poi snocciolato le cifre dei “consumi” annui del settore marittimo: 700 milioni di alimentari, 330 milioni di prodotti petroliferi, 240 in manufatti, 100 milioni di intermediazioni finanziarie. In più quelli della logistica portuale (quasi 500 milioni), della cantieristica (2 miliardi) e della pesca (2 miliardi di distribuzione). Nella sostanza, il cluster marittimo produce annualmente 39,5 miliardi (2,6% del pil) e da lavoro a 500 mila addetti.

In tutto questo, emergono fattori di forza e debolezza. Tra i primi la posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo, il registro navale internzionale, in parte la portualità, la cantieristica del grande yachting. Tra i fattori di debolezza le infrastrutture logistiche vetuste, l’assetto burocratico-amministrativo, la cantieristca navale poco competitiva, la pirateria nel corno d’Africa (snodo obbligato per le navi italiane). Ma nella sostanza, conclude d’Amico, il bilancio del cluster marittimo italiano non può che essere considerato positivo.

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Pubblicato il
29 Ottobre 2011

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