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Riforma o pasticcio all’italiana

Non sono molto lusinghieri, ad oggi, i commenti al testo del ddl Matteoli per la riforma della legge 84/94. Ecco quello di Raoul de Forcade de “Il Sole-24 Ore” ripreso dal notiziario di Assagenti.

ROMA – Una riforma attesa da molti anni, quella della legge sui porti 84/94, rischia di trasformarsi nell’ennesimo pasticcio all’italiana; accantonando, in primo luogo, il motivo principe per il quale era stata pensata,ossia garantire l’autonomia finanziaria agli scali italiani, ma aprendo anche la strada a confusioni di ruoli tra Autorità Portuali e marittime e scontri tra amministrazioni locali e governo centrale sulla nomina dei presidenti delle Port Authorities.

Lo scorso 16 aprile, il consiglio dei ministri ha varato il disegno di legge di riforma dell’ordinamento portuale. E nel farlo ha deciso di modificare, in modo netto, la bozza di testo (discussa per anni e sotto tre diversi Governi) messa a punto dalla commissione Lavori Pubblici e comunicazioni del senato; un testo che raccoglieva ampi consensi sia della maggioranza che dell’opposizione.

In particolare, come si è accennato, è stato soppresso il capitolo che dava ai porti la possibilità di reinvestire in opere infrastrutturali sui moli una percentuale (si era parlato prima del 5%, poi del 3%, quindi del 2%) delle risorse raccolte da Iva e accise per conto dell’erario. Ma vengono anche modificati, riguardo alla tutela di safety e security, i rapporti tra Autorità Portuale e Capitanerie di porto, con norme che danno maggiori poteri alle seconde. Cambiano, poi, i criteri di nomina dei presidenti: saranno designati dopo un confronto diretto tra ministero dei Trasporti e Regione e, in caso di mancato accordo, dal presidente del consiglio. Vengono esclusi, quindi, a dispetto delle pulsioni federaliste governative, Comuni, Province e Camere di Commercio, oggi coinvolti nel processo di nomina.

Nei 16 articoli del ddl sono individuati, in relazione ai traffici, i porti di rilevanza economica nazionale e internazionale e quelli di rilevanza regionale e interregionale. Mentre resta inalterato l’attuale (eccessivo) numero di Autorità Portuali (25). Il ddl mette anche sul piatto regole per velocizzare i tempi di approvazione di piani regolatori portuali e i dragaggi. Prevede, inoltre, che le Authorities, d’intesa con le Regioni, possano costituire sistemi logistico portuali per il coordinamento delle attività di più porti e retroporti. Il testo prevede, ancora, norme per stabilizzare il lavoro portuale. E un articolo si occupa di nautica, statuendo che è possibile riconvertire gli spazi sottoutilizzati dei porti commerciali in aree per lo sviluppo della nautica, e semplifica la costruzione di pontili galleggianti per il diporto.
Ma le (limitate) innovazioni apportate all’ordinamento portuale con questo testo sono ampiamente svuotate di significato dallo stralcio dell’autonomia finanziaria, che certo non può essere soppiantata dal fondo per le infrastrutture portuali, istituito dal decreto incentivi. Fondo che parte, tra l’altro, con una dotazione risibile: 80 milioni di euro da ripartire fra tutti i porti italiani.

Il ddl, fortemente criticato da Assoporti e dalle città portuali dell’Anci, ora seguirà l’iter parlamentare, che potrà, in parte, modificarlo. Tuttavia sull’autonomia e le nomine dei presidenti sembra difficile che il Governo possa fare marcia indietro. A complicare la situazione, l’emendamento al decreto Milleproroghe, divenuto legge a febbraio, che concede agli scali di abbattere le tasse portuali e di ancoraggio. Un provvedimento che ha subito aperto uno scontro tra Port Authorities: da un lato ci sono gli scali di transhipment che già non pagano la tassa portuale sulle merci e sono favorevoli alla norma (Cagliari e Gioia Tauro hanno già deciso di abbattere le tariffe del 90%); dall’altro le Autorità dei porti di stazionamento, che temono di soffrire una distorsione della concorrenza favorita dalla normativa.

R.d.F.

Pubblicato il
8 Maggio 2010

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