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Bunga-bunga e progetti di portualità

GENOVA –  E va bene, qualcuno si chiederà che c’azzecca per un giornale che nasce a Livorno impicciarsi dei fatti o fattacci di Genova, Caput Mundi almeno sul piano portuale.

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Potremmo rispondere che è una specie di legge del contrappasso: i genovesi invadono Livorno, si sono istallati anche sulla poltrona della Port Authority oltre che nel TDT, tra poco ce li troveremo sotto il letto (sperando almeno non dentro). Ergo, proviamo a impicciarci un po’ anche dei fatti loro.

Ci hanno detto sempre infatti che i genovesi sono bravi, bravissimi, a smetterla di scannarsi quando c’è da fare insieme il “dané”; che sono pragmatici, seri, positivi. E dalle recenti dichiarazioni del loro presidente degli agenti marittimi Giovanni Cerruti (Secolo XIX) sulla strabiliante e un po’ kafkiana vicenda dei due mega-progetti portuali che si combattono in Adriatico (progetto privato di Unicredit per Trieste e Monfalcone, progetto pubblico offshore per Venezia, ciascuno con il suo bel ministro e relative truppe cammellate scesi in campo) sembrerebbe proprio che fosse così. Cerruti si chiede, giustamente, che paese è diventato il nostro dove si impalla una proposta privata (Unicredit-Maersk) che tra l’altro ci metterebbe una valanga di soldi, per contrapporgli un progetto a (spaventosa) spesa pubblica, solo per una sfida tra ministri.

Tutto bene? Mica tanto. Perché alla fine, dalle stesse dichiarazioni di Cerruti, salta fuori che anche a Genova – e se si preferisce nell’arco ligure – le cose non sono poi così diverse. Testualmente: “Che senso ha investire soldi pubblici in un nuovo terminal a Vado, senza avere i collegamenti ferroviari necessari per portare le merci in Europa – si chiede Cerruti- invece di favorire un accordo tra Maersk e Vte per consolidare i loro traffici a Genova?” E ricordando le “scelte insensate” del passato che tra l’altro hanno favorito la crescita di La Spezia (il 30% delle merci via ferro contro meno del 6% a Genova: tanto per fare un esempio) Cerruti attacca a testa bassa “l’insensata idea del Comune genovese di mettere una tassa sui containers in entrata ed uscita dal porto”.

Insomma, mentre il paese si appassiona al Bunga-bunga e ne fa il principale motivo del contendere, anche sui grandi porti italiani siamo alla politica dei polli di Renzo, che si becchettavano a sangue mentre venivano condotti alla pentola. E anche Genova, Caput Mundi, non è da meno. Che dire? Tu quoque Brute, fili…

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
19 Febbraio 2011

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