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Portualità riforme e sbruffi

LIVORNO – Chiamiamoli, se volete, pensierini d’agosto: ovvero leggeri come i venticelli a regime di brezza, mutevoli e se volete eterei, che possono durare, come dicono i francesi, solo l’espace d’un matin.[hidepost]Però, per quanto eterei, sono ugualmente fastidiosi. Seguitemi un attimo, se volete. Da tutte le parti si lamenta che lo Stato Italiano – con gli ultimi governi che si sono alternati, senza alcuna eccezione – dedica ed ha dedicato solo briciole alla portualità nazionale. Da anni si aspetta una riforma della riforma portuale. Da decenni si aspetta una classificazione dei porti che non è mai arrivata. Da qualche lustro si strepita e si prega perché vengano dati un po’ di euro ai porti con l’autonomia finanziaria ed altri meccanismi. Da sempre si ammette che le Autorità portuali sono troppe e hanno poteri limitati, specie dove dovrebbero essere enti di gestione. Insomma, un gran piangere cassa. E fin qui ci siamo.
Dove le cose non tornano però è quando si fanno i bilanci dei vari progetti – e spesso sono megaprogetti – che alcuni porti vantano di avere in corso, regolarmente finanziati o super-finanziati attraverso vari meccanismi: lo Stato, le Regioni, l’Unione Europea con i suoi (spesso strampalati) piani di rete. Certo, sono porti “bravi”, ovvero con referenti bravissimi, ammanigliati, capaci. A Venezia si vantano 100 milioni di euro per la contestatissima piattaforma offshore dei containers. A Civitavecchia arrivano mega-finanziamenti a go-go (è vero che in parte sono privati) per fare del porto – come dice Pasqualino Monti – il primo scalo del Mediterraneo. La Spezia non rimane indietro e grazie alle capacità e alle relazioni di Forcieri (e a Contship) cresce, si allarga, approfondisce. Ce n’è anche per Cagliari, che ha appena varato un sistema di banchine nuove nel Porto Canale; per non parlare di Piombino, dove grazie al recupero (statale) dei famosi e mai spesi fondi per la bonifica di Bagnoli sta per nascere un porto con fondali a 20 metri ed ambizioni almeno relative. E per Ravenna, per Genova, per Ancona. Insomma, qua e la gli “sbruffi” di soldi arrivano. E che sbruffi…
Potrei continuare ma mi fermo. Con una domanda: non è che i soldi per i porti lo Stato (e le Regioni) li trovano, solo quando a chi chiede non si può – politicamente o per altri meccanismi di potere trasversale – rispondere di no? E non è che a questo punto la tanto sospirata riforma della 84/94 non è poi così sospirata come sembra: perché gattopardescamente si cambia tutto a chiacchiere per non cambiare nulla nella sostanza dei vari metodi di sottogoverno?
Pensierini d’agosto, che fastidio…
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
3 Agosto 2013

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