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E i porti italiani spendono poco e anche male

ROMA – La bacchettata, impietosa, viene dalla Corte dei Conti: i porti italiani non riescono che a fatica a realizzare progetti infrastrutturali anche importanti, tanto che di tutti gli stanziamenti realmente varati dal potere pubblico, ne sono stati spesi meno della metà.
[hidepost]E’ la sintesi del Rapporto su “Spese per le opere infrastrutturali dei porti italiani” che prende in esame i risultati di tre leggi ad hoc: la 488/99, la 388/2000 e la 166/2002. Tre leggi ormai lontane (visto che la più recente ha superato la boa dei dieci anni) e che avevano messo a disposizione dei porti italiani un insieme di 1500 miliardi di euro. Ebbene, di tutta questa cifra, secondo il rapporto della Corte dei Conti è stato speso il 38% degli stanziamenti della prima legge, nemmeno il 45% della seconda e della terza legge. Un disastro, che peraltro risulta evidente anche dalle critiche dei principali osservatori internazionali, sempre meno propensi a investire risorse private – che ci sono e continuano ad esserci, in caccia di opportunità – nella portualità italiana.
La Corte dei Conti ha provato anche, nel suo rapporto, a individuare le cause di questa Waterloo dei finanziamenti ai porti. Primo freno, la farraginosità burocratica, con un intreccio di burocrazie istituzionali che finisce per scoraggiare anche i più volenterosi. Ma c’è anche “inerzia o inadeguata capacità gestoria” di alcune Autorità portuali. Che sono spesso sottoposte a loro volta a vincoli di carattere politico o partitico, nell’incrocio di poteri – non sempre chiari anche dal punto di vista procedurale – entro cui si trovano ad agire. C’è infine il proliferare dei vincoli ambientali che si sovrappongono: a quelli nazionali si aggiungono e spesso in forme anche contraddittorie o concorrenziali, i vincoli regionali e provinciali, che rendono l’argomento un terreno minato per chi vuole decidere. Anche le normative delle gare d’appalto sono fatte in modo tale da rendere quasi impossibile un’aggiudicazione immediata e definitiva: ricorsi contro ricorsi allungano le procedure all’infinito, partendo dai TAR fino ai più alti gradi di giudizio. Insomma, quasi una jungla.
Alla fine della fiera, la Corte dei Conti richiama giustamente anche il problema dei “controlli carenti”: da quelli ministeriali, che dovrebbero vigilare meglio e in tempi meno dilatati (tirata d’orecchie anche alla direzione generale dei porti al ministero delle Infrastrutture e Trasporti) a quelli interministeriali, con le interferenze spesso problematiche del dicastero dell’Economia e anche di quello dell’Ambiente. Insomma: non è vero che non ci sono soldi pubblici, spesso il problema è che i porti non sono capaci di spenderli presto e bene.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
11 Settembre 2013

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