Un “Piano Assoporti” entro ottobre con tre punti per rilanciare gli scali
Burocrazia da rivedere, coinvolgimento dei beni culturali per le crociere, autonomia finanziaria reale con il raddoppio della quota Iva da trattenere – Task force per gli investitori esteri e le tasse
ROMA – “Bisogna che i governi italiani riconoscano che i nostri porti sono la chiave di volta dello sviluppo nazionale” – sottolinea Pasqualino Monti, neo-presidente di Assoporti – e specialmente bisogna che entro l’anno prossimo al massimo dovremo stare al passo delle riforme dell’intero comparto della logistica, altrimenti rischiamo di diventare la periferia del Mediterraneo”.
A fronte della continua erosione di traffici sui porti italiani, testimoniata dalle statistiche nazionali ed europee (-3,1% su base annua) Assoporti chiede al governo un piano di crescita che sarà presentato entro poche settimane.
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Pasqualino Monti
“Entro ottobre presenteremo il nostro piano – conferma Monti – basato su tre pilastri. Il primo: meno burocrazia per le opere portuali. Il secondo: circuiti turistici per le crociere che coinvolgano anche i beni culturali. Il terzo: autonomia finanziaria vera e non mascherata e insufficiente”.
Monti cita le infinite attese (problema burocrazia) per la pianificazione portuale o anche per le semplici varianti ai piani. “Per una variante occorrono a volte anche nove anni di attesa, un assurdo in tempi di just-in-time. Bisogna tagliare i tempi per le approvazioni a livello dei principali competitori”. Una richiesta che da anni parte dai porti e trova sponda nelle risposte positive della classe politica, sia al governo che alle opposizioni, ma senza poi risultati concreti.
L’altro punto, quello dell’autonomia finanziaria, è anch’esso un tormentone infinito. “Al momento i porti possono usare solo l’1% del gettito Iva generato, con un tetto di 90 milioni all’anno, una miseria” – dice Monti – mentre potendo usare anche solo il 2%, che ammonterebbe a 260 milioni con le integrazioni, il sistema arriverebbe a generare introiti doppi rispetto agli attuali e potrebbe pesare per il 4/4,5% sul Pil, per un valore intorno ai 60 miliardi di euro.” Altra cifra che fa riflettere: la portualità fornisce all’erario italiano 13 miliardi di euro all’anno, mentre i porti ancora oggi, a settembre, non hanno ricevuto nemmeno un euro dei 90 milioni stanziati a parole per loro: colpa della burocrazia farraginosa, dei cento controlli incrociati, dei ritardi delle pratiche nei vari uffici dei ministeri. Una soluzione? Monti si chiama a quella che fu una strada indicata dall’allora ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli: utilizzare la Cassa depositi e prestiti per fare da garante ai fondi dello Stato anticipando quanto necessario sulla base degli stanziamenti. Ma ad oggi è rimasto lettera morta. E a fronte di questa palude, anche gli investitori stranieri latitano, pur cercando occasioni. Un problema che il consiglio dei ministri giorni fa aveva annunciato di voler affrontare per riportare gli investitori stranieri, con tasse certe – e ridotte – entro il mese di ottobre, sulla base di un piano messo insieme da una task-force Fabrizio Pagani di Palazzo Chigi, Stefano Firpo (Sviluppo economia), Alessandro Fusacchia (Affari esteri) che partirebbe da una sezione speciale nell’Agenzia delle Entrate dedicata a facilitare la chiarezza fiscale per gli investitori stranieri. Un’altra Araba Fenice nel panorama quasi infinito delle promesse italiane che non si realizzano mai?
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