Containers: l’Italia che arretra
ROMA – Le cifre che registrano i traffici portuali italiani dei containers parlano chiaro: i nostri scali rischiano definitivamente di perdere la partita del rilancio, che sul piano della logistica dovrebbe ripartire dall’anno prossimo.
[hidepost]E sono cifre ufficiali: nei cinque anni tra il 2004 e il 2008 i Teu in transito nel Mediterraneo sono passati da 9,7 a 14,3 milioni di unità (+46,5%) ma la quota che è andata ai porti italiani è andata continuamente in caduta. Gioia Tauro, primo porto italiano di transhipment, è calato dal 33,3% al 24%: Taranto, anch’esso della categoria, dal 7,8% al 5,5% e Cagliari dal 5,1% al 2,1%. Nei successivi quattro anni il divario è ancora aumentato: e se qualche porto italiano vanta modesti miglioramenti in percentuale rispetto al passato, lo fa non tenendo conto di quanto sono nel frattempo cresciuti i traffici in altri porti del Mediterraneo che possono essere considerati concorrenti, come Port Said, Pireo, Malta e specialmente Tangeri, che sta aumentando i traffici con percentuali vicine al 50% annuo.
A confermare il crescente gap concorrenziale ci sono anche i costi. Il costo orario medio nei porti italiani – dice un’inchiesta pubblicata nei giorni scorsi dal quotidiano Libero – è di 22,1 euro contro 3,1 euro in Marocco (Tangeri) e 1,8 euro in Egitto (Port Said). Il costo dei carburanti per le macchine in porto a Gioia Tauro è superiore del 25% rispetto a Port Said e (pare) oltre il 100% rispetto a Malta, dove peraltro non c’è produzione locale di idrocarburi.
L’altro problema è che l’Italia continua a non avere una politica portuale di sviluppo delle infrastrutture, di forti investimenti pubblici, o di condizioni fiscali e normative per favorire gli investimenti privati. L’esempio del rigassificatore offshore dell’Olt davanti a Livorno è diventato un “must” per chi vuole massacrare l’immagine della burocrazia italiana: quasi 11 anni di pratiche, di permessi, di battaglie, di “compensazioni territoriali” costose e spesso discutibili, con costi triplicati e inizio dell’attività concreta – entro la fine di quest’anno – in realtà di mercato totalmente diverse (in negativo) rispetto ai tempi in cui il progetto partì. Sembra uno scenario senza prospettive future: eppure i grandi gruppi stranieri di investimento sulla logistica portuale ci sarebbero e anche di recente i cinesi sono arrivati a Taranto con le più concrete intenzioni: salvo scappare a gambe levate davanti al mega-pasticcio Ilva. Si rivolgeranno altrove?
A.F.
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