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“Stabilità” che destabilizza?

Vladimiro Mannocci

Da Vladimiro Mannocci, storico esponente della Cpl labronica, riceviamo.

LIVORNO – Che sul problema del lavoro nei porti fosse necessario un intervento per affrontare gli esplosivi effetti sociali non ci sono dubbi. Ma la modifica all’art. 17 approvata con la legge di stabilità (art. 108) rischia di aprire più problemi rispetto a quelli che il legislatore intendeva risolvere.
Sicuramente si tratta di una leggina “ad portus”, quello di Genova, dove esistono situazioni di emergenza, in particolare per le condizioni economiche e finanziarie di cui risente la Compagnia Unica, con le conseguenti ricadute sociali che potrebbero scaturire, anche dal calo di volumi e di giornate di lavoro.
[hidepost]Ma le stesse difficoltà purtroppo sono diffuse in tutta la portualità nazionale. Anche se questa modifica dovesse avere l’avallo dall’Unione Europea rispetto al divieto degli aiuti di Stato alle imprese – e ci sono forti dubbi in merito, già espressi da autorevoli commentatori come lo stesso portavoce di Anci Alessandro Cosimi in recenti interviste n.d.r – di certo non risolverebbe i problemi che sono presenti a Livorno, che riguardano chi erogava in esclusiva il lavoro portuale temporaneo ai sensi dell’art. 17 della L.84/94.
Uso, forse impropriamente il verbo “erogava”, perché quella esclusività degli art.17 alla fornitura di lavoro temporaneo per l’esecuzione delle operazioni e dei servizi portuali, garantito dal comma 2 dello stesso articolo è di fatto cessata o comunque messa in discussione in quanto il nuovo comma approvato recita: “Qualora un’impresa o agenzia che svolga esclusivamente o prevalentemente fornitura di lavoro temporaneo, ai sensi del presente articolo, nonché dell’articolo 16, versi in stato di grave crisi economica…” Quindi non solo si aggiunge il prevalentemente, ma si aggiunge quel “nonché dell’art. 16” che anch’esso, secondo il testo, dovrebbe svolgere lavoro temporaneo. Ma fino a questa modifica, all’art. 16 era vietato di poter svolgere lavoro temporaneo: poteva solo limitarsi ad erogare dei servizi, con tanto di contratto di appalto, nel ciclo delle operazioni portuali a terminalisti concessionari.
E’ chiaro che il rischio di un ulteriore processo di deregolamentazione è facilitato da questa modifica. Come abbiamo già accennato a Livorno non solo c’è la certezza che non siano risolti i problemi dell’art. 17, ma addirittura si potrebbe verificare un ulteriore svuotamento della sua funzione con l’aggravarsi degli elementi di criticità.
Un altro punto contraddittorio sta fra l’intento principale di questa modifica e gli strumenti messi in campo per ottenere quel risultato. Infatti per ben due volte si parla di sostegno all’occupazione, rimandando all’ente di gestione del porto” la possibilità “di destinare una quota, comunque non eccedente il 15 per cento, delle entrate proprie derivanti dalle tasse a carico delle merci imbarcate e sbarcate, senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato, a iniziative a sostegno dell’occupazione, nonché al finanziamento delle esigenze di formazione dei prestatori di lavoro temporaneo e per misure di incentivazione al pensionamento di dipendenti o soci dell’impresa o agenzia…”.
Quindi, mentre si enuncia il sostegno all’occupazione si parla di prepensionamenti che non sostengono direttamente l’occupazione presente ma quella dei lavoratori che rimangono in un organico più ristretto. Infatti si dice che per poter usufruire di pacchetti formativi e di pensionamenti l’azienda non può assumere, ma anzi deve procedere “alla riduzione della manodopera impiegata di almeno il 5 per cento all’anno. Per tutto il periodo in cui il soggetto autorizzato beneficia del sostegno di cui al presente comma, non può procedere ad alcuna assunzione di personale o all’aumento di soci lavoratori”.
E’ evidente che questo meccanismo non risolve il problema dell’art.17 livornese che, per la giovane età dei suoi lavoratori, non ha le condizioni per utilizzare il loro pensionamento; e quindi la possibile riduzione dell’organico potrebbe essere attuata solo attraverso lo strumento del licenziamento.
Sembra che al ministero dei Trasporti stiano adesso redigendo una circolare applicativa per districare l’effetto “guazzabuglio” di questo testo. Ascoltando Sergio Bologna, ma anche Mario Sommariva che sono intervenuti di recente a Livorno alla importante iniziativa organizzata dalla Compagnia Portuale, si comprende come i problemi che affliggono la portualità abbisognano non solo di interventi nazionali attraverso un nuovo ordinamento, ma anche di interventi sovranazionali per rispondere ai problemi di problemi di democrazia e indipendenza dovuti ai processi di concentramento che stanno avvenendo in questo settore. Mi riferisco alla cosidetta operazione P3. Le prime tre Compagnie di navigazione al mondo che hanno costituito l’alleanza (P3) detengono il 40% dei traffici, mentre nel settore terminalistico il 40% dei terminals è detenuto da 10 grandi operatori.
Se consideriamo che alcuni di questi grandi terminals sono controllati o partecipati da quegli stessi armatori, ci rendiamo conto della dimensione e dei rischi di questo fenomeno e se non sarà possibile un suo controllo quali possono essere le conseguenze per le economie di intere regioni geografiche. Che risulterebbero fatalmente marginalizzate se per problemi economici e finanziari questi grandi soggetti decidessero di fare scelte tariffarie piuttosto che organizzative in quella direzione.
Livorno dovrebbe alzare l’asticella della sua azione politica per assumere una funzione di indirizzo anche su questi temi a livello nazionale ed anche internazionale. Funzione che purtroppo a mio parere è andata scemando in questi decenni per una propensione a gestire più che a governare. Nonostante la vicinanza delle elezioni amministrative e la possibilità di ridefinire nuovi fattori di competitività attraverso una nuova piattaforma programmatica si sta invece discutendo del “particolare”, del balletto dei candidati, delle coalizioni a prescindere dai programmi. Purtroppo corriamo il rischio di perdere anche questo treno. E ricordiamoci che in generale nel settore economico ed in particolare in quello portuale i “treni “passano ogni trent’anni.
Vladimiro Mannocci

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Pubblicato il
8 Febbraio 2014

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