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Codice della crisi d’impresa: lo Stato vuole uccidere le S.r.l.?

ROMA – Fare impresa in Italia è difficile e costoso, per via delle lungaggini burocratiche e di una pressione fiscale tra le più alte in Europa. Il 37% delle nuove attività, finisce con il chiudere, non superando i 4 anni. Le cose, ora, potrebbero farsi ancora più difficili con l’approvazione del “codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 14 febbraio 2019. Lo afferma Francesco Cardone, co-fondatore dell’associazione “Imprenditore non sei solo” in una lunga nota a commento del nuovo codice.

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“Un provvedimento – il nuovo codice – che è stato accolto con estrema preoccupazione dal mondo imprenditoriale e, in particolare dai soci delle S.r.l., quelle società di capitali a responsabilità limitata, che potrebbero vedere messi a rischio i conti personali dei soci e degli amministratori, con lo Stato legittimato ad accedervi in caso di controllo fiscale su attività che riguardano il flusso di capitali dell’azienda.

“Con questo codice sembra che si vogliano uccidere definitivamente le S.r.l. e, di conseguenza, la voglia di fare impresa o investire in attività sul territorio italiano. – commenta Francesco Cardone, imprenditore e cofondatore dell’associazione di categoria che riunisce centinaia di imprenditori in Italia. – Ora, se l’Agenzia delle Entrate accerta, ad esempio, un aumento di reddito di 10 mila euro per un socio di un’azienda, per il discorso della cosiddetta ristretta base societaria, l’Agenzia può procedere a fare degli accertamenti non solo sui conti della società, ma anche su quelli privati di tutti i soci dell’azienda. Loro percepiscono la somma come un incasso che ha portato alla redistribuzione degli utili. Questo autorizza lo Stato a frugare nelle tasche degli imprenditori e fare ciò che vuole. In un simile provvedimento, non posso che vedere una precisa volontà dello Stato di andare a colpire soci e amministratori delle S.r.l., combattendo l’impresa, anziché incentivarla”.

Inoltre, in caso di situazioni di crisi aziendale e successivo indebitamento, contratto proprio per salvare le sorti dell’azienda e di tutti coloro che vi lavorano all’interno, dall’amministratore ai dipendenti, i creditori possono rivalersi sui patrimoni personali dei soci. Il codice stabilisce, infatti, che “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinuncia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”.

Una novità fiscale, questa, che finirà, senza alcun dubbio – sottolinea ancora Cardone – per scoraggiare gli aspiranti imprenditori, e per frenare chi ha già un’impresa S.r.l., che, temendo pesanti ripercussioni sui conti personali, con ovvie conseguenze per l’intero nucleo famigliare, sceglierà solo investimenti sicuri, a discapito dell’innovazione e della potenziale crescita dell’attività.

“Un’azienda localizzata in Italia porta vantaggi all’economia del nostro paese. Eppure, lo stato sembra voglia spingerci a delocalizzare la produzione all’estero. Costituire una società ora sarà più difficile, l’unica salvezza per coloro che non vogliano rinunciare al desiderio di creare valore economico e sociale per il proprio paese, sembra essere, ormai, la via dell’aggregazione tra imprenditori ed imprenditrici. Io continuo a chiedermi perché la politica ce l’abbia così tanto con gli imprenditori e invito tutti i colleghi ad unirsi per costituire un fronte comune e colmare il vuoto sempre più ampio lasciato dalle istituzioni” conclude Cardone.

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Pubblicato il
29 Febbraio 2020

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