L’angolo (del) marittimista – “Nuovo” Art. 16: siluro all’autoproduzione?

Luca Brandimarte
Il nostro collaboratore e avvocato Luca Brandimarte, junior advisor for EU and legal affairs anche in Assarmatori, affronta oggi il tema riguardante il “Nuovo” Art. 16.
ROMA – Tema scottante delle ultime settimane è quello derivante dalla conversione in legge del D.L. n. 34/2020 (“Decreto Rilancio”) che, tra le altre, con l’articolo 199-bis, ha modificato l’articolo 16 della L. n. 84/94 (“Legge portuale”) nella parte relativa all’autoproduzione delle operazioni portuali.
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Il dibattito che ruota attorno al fenomeno dell’autoproduzione – da intendersi come quel fenomeno per cui un soggetto può autoprodursi un determinato servizio indipendentemente dall’offerta dei terzi produttori di tale servizio – è da sempre stato molto accesso.
La legge antitrust nazionale ha disciplinato per prima tale fenomeno riconoscendo un diritto soggettivo perfetto nell’ipotesi in cui l’operatore economico intenda offrire a sé stesso, attraverso personale e mezzi propri, un servizio fornito in regime di riserva legale; principio, peraltro, più volte affermato e ribadito anche dall’AGCM secondo cui l’esercizio di tale diritto è “rimesso all’iniziativa del titolare, il quale, se riscontra ritardi ovvero ostacoli, dovrà rivolgersi all’organo giurisdizionale per l’accertamento del suo diritto e la rimozione della intrusione antigiuridica che ne compromette il godimento”.
Quanto poi alle operazioni portuali, il sopracitato diritto è tutelato all’articolo 16 della Legge portuale, nonché da un apposito decreto ministeriale per la disciplina di dettaglio.
Tuttavia, con la conversione in legge del Decreto Rilancio, l’art. 199-bis ha modificato il citato articolo 16 aggiungendovi il comma 4-bis secondo cui: “Qualora non sia possibile soddisfare la domanda di svolgimento di operazioni portuali né mediante imprese autorizzate […] né tramite il ricorso all’impresa o all’agenzia per la fornitura di lavoro portuale temporaneo […], la nave è autorizzata a svolgere le operazioni in regime di autoproduzione a condizione che: (a) sia dotata di mezzi meccanici adeguati; (b) sia dotata di personale idoneo, aggiuntivo rispetto all’organico della tabella di sicurezza e di esercizio della nave e dedicato esclusivamente allo svolgimento di tali operazioni; (c) sia pagato il corrispettivo e sia stata prestata idonea cauzione”.
Va da sé come, così formulato, il “nuovo” articolo 16 – a cui comunque dovrà accompagnarsi un apposito decreto ministeriale recante specifiche modalità attuative – porti ad una seria e concreta limitazione all’esercizio del diritto all’autoproduzione; limitazione che parrebbe ancor più evidente nella parte in cui la norma precisa che la compagnia di navigazione possa operare in autoproduzione soltanto nell’impossibilità delle imprese portuali di terra a soddisfare la domanda.
Il tutto, peraltro, previo soddisfacimento di condizioni aggiuntive da parte dell’armatore richiedente, quali: (i) la dotazione di personale idoneo e aggiuntivo esclusivamente dedicato a tali operazioni; (ii) il pagamento del corrispettivo; (iii) la prestazione di un’idonea cauzione.
Quanto sopra, con particolare riferimento al punto sub (i) – e cioè alla lett. b) del comma 4-bis – rappresenta una vera novità rispetto al passato che, nella pratica, risulterebbe difficilmente attuabile e renderebbe la norma in commento foriera di possibili dubbi di legittimità rispetto alle norme vigenti in materia di concorrenza tra gli operatori del mercato. Inoltre, la lett. c) del citato comma, introduce un altro profilo “problematico” sotto l’aspetto concorrenziale.
Ci riferiamo al costo del servizio che ad oggi – applicandosi un sistema tariffario che tiene conto della turnistica (in cui il singolo “turno” di servizio ha durata media di sei ore e il costo del servizio viene fatturato per intero dall’impresa portuale all’armatore a prescindere che la prestazione si concluda nelle sei ore oppure, come spesso avviene nella pratica, in tempistiche assai inferiori – mal si concilierebbe, sia con la normativa vigente nazionale ed unionale in materia di concorrenza, sia con la giurisprudenza unionale (che ha valore di fonte del diritto all’interno del nostro ordinamento), nonché con i principi di trasparenza, proporzionalità e rendicontazione di cui al noto Regolamento (UE) 2017/352.
Quanto sopra descritto, dunque, potrebbe portare all’instaurarsi di situazioni di monopolio od oligopolio all’interno degli scali nazionali che, per dirla come la direbbe la Corte di Giustizia dell’Unione europea, potrebbero portare l’impresa / le imprese di terra ad applicare pratiche concorrenziali abusive consistenti “nell’imporre, a chi richiede i servizi di cui è causa, prezzi d’acquisto o altre condizioni di transazione non eque” ed applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti “condizioni dissimili per prestazioni equivalenti”.
Ora, a prescindere dal carattere politico che tale tematica ha assunto nel corso degli anni (e soprattutto nell’ultimo periodo), è evidente che situazioni eccessivamente conflittuali non giovino a nessuna delle parti interessate.
Tuttavia, due cose ci sembrano chiare. Se da un lato, la “nuova” norma limita il ricorso all’autoproduzione da parte dell’armatore e presenta, per come è formulata, dei possibili profili di criticità con la normativa nazionale ed unionale vigente, da cui emerge che ben potrebbero essere intrapresi ricorsi nelle opportune sedi, sia a livello nazionale, sia a livello unionale, dall’altro lato, le imprese portuali rischiano di non beneficiarie (del tutto) delle nuove limitazioni normative all’autoproduzione in quanto, per contro, i terminal riconducibili a compagnie di navigazione cercheranno di internalizzare il ciclo delle operazioni portuali per essere quanto più autosufficienti possibile limitando così al minimo il ricorso alla manodopera ex articolo 17.
Che ne sarà dunque dell’autoproduzione ancora non è (ancora) dato a sapersi. Certo è che quello delineato è uno scenario che sta facendo e continuerà a far discutere molto gli operatori del settore.
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