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Efficienza dei porti e sistema: più export e più ferrovia

Nella foto: Nereo Marcucci

ROMA – I porti italiani sono, nella media, sotto la metà classifica per l’efficienza. Lo sostiene, come abbiamo già scritto, il “Container Port Performance Index” elaborato da Banca Mondiale e IHS sui primi sei mesi del 2020. Ricordiamo che i primi nell’Index sono il porto del Far East, mentre il primo in Italia è Gioia Tauro al 145° posto. Tutto ciò premesso, abbiamo chiesto perché all’amico Paolo Nereo Marcucci, ex primo presidente in Italia di Autorità Portuale, ex presidente di Confetra, attuale consigliere del CNEL con delega alle tematiche della logistica. E come sempre, Marcucci è andato all’osso, in una approfondita analisi che proveremo a riproporre qui sotto.

Avrai visto la classifica della Banca Mondiale sull’Index dell’efficienza dei porti. Non ci tratta bene…

“Vorrei ricordare che anche in altre occasioni le classifiche della Banca Mondiale sono state contestate, con l’accusa di operare su un campionario poco scientifico, non omogeneo e più che altro basato su quanto su giudizi locali. A nostra difesa potrei sottolineare che sulla base dell’efficienza concreta l’Italia è l’unico paese che ha attuato l’AIDA, i Fast Corridors, lo sdoganamento in mare ed altro. Certo, ci sono ancora molti problemi: vari sistemi informatici dei servizi portuali importanti non si parlano, il sistema della sanità marittima spesso crea ritardi, i tempi di sdoganamento a volte si allungano non per colpa dell’Agenzia. Ma il punto da esaminare con attenzione semmai è un altro: in dieci anni, dal 2010 al 2019 il sistema Italia movimenta nei suoi porti lo stesso quantitativo di merci, intorno a 500 milioni di tonnellate comprese le rinfuse liquide. È evidente che siamo fermi, il che in economia e in logistica è negativo”.

Siamo fermi perché? Dopo la riforma Delrio c’erano stati grandi programmi.

“Premesso che la logistica, anche marittima, è fatta da una catena di componenti, la velleità di essere una piattaforma logistica nazionale, parte del sistema Europeo ma saldamente proiettata nel Centro del Mediterraneo, è rimasta una velleità. La riforma era positiva, perché creava le condizioni per dare al sistema Italia una testa pensante unica: quella conferenza dei presidenti di AdSP che avrebbe dovuto far transitare i 57 porti italiani un “unicum”, invece che in un’arena di repubblichette marinare l’una contro l’altra. Questa tavolo tra AdSP e ministro ad oggi è mancato e se ne sente la carenza, e c’è altro ancora…”.

Per esempio?

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“Per esempio le due pesanti carenze del sistema produttivo Italia: quella dei collegamenti su ferro, oggi indispensabili sia sul territorio che per rompere la “cintura di castità” delle Alpi; e quella dell’industria o comunque della produzione, che salvo rari casi non è sufficientemente fornitrice al mercato europeo di merci. Con Confetra analizzammo questo aspetto rilevando che le nostre merci sono destinate ancora oggi a un range ristretto di export; e che troppo spesso abbiamo esportato produzioni invece di prodotto. Gli stessi rilievi sono venuti di recente dal ministro delle infrastrutture professor Giovannini, che si è posto l’obiettivo di accelerare i trafori per le ferrovie attraverso le Alpi e gli Appennini, ridurre il trasporto su gomma con cui l’autotrasporto ha “ricattato” il paese da quarant’anni, reimportare le produzioni, specie quelle manifatturiere. Ma occorre che in primis il sistema industriale italiano partecipi allo sforzo per allargare il nostro export”.

Quindi il fatto che il sistema portuale sia poco sistema nazionale è sussidiario?

“Abbiamo parlato dell’esigenza di attivare la conferenza delle AdSP con il ministro. Bene, però lasciami chiedere che succederebbe se la conferenza partisse sul serio come previsto: intendo ricordare che per l’art. 5 della Costituzione vorrebbero metterci il naso le Regioni, forse associazioni di area, l’infinità di player di ogni tipo. Fare sistema è una giusta aspirazione, ma mi chiedo se qualcuno riuscirebbe a spiegarmi come, in chiave concreta. Oggi siamo di fronte a un Piano nazionale di rilancio che, detto in parole approssimative ma reali, punta sui due porti ascellari, Genova e Trieste e poi sugli scali del Sud per un ennesimo tentativo di rilancio del Mezzogiorno. Tutto bene, ma allora il sistema qual’è?

A.F.

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Pubblicato il
30 Giugno 2021

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