Come ti curo l’ansia portandoti lassù sulla mongolfiera (virtuale)
La realtà virtuale al centro di un progetto dell’università di Pisa
PISA. Mai pensato che per smettere di sentirsi soffocare dalla cappa dei problemi basterebbe alzarsi come per magia in volo e guardarli dall’alto per ridimensionarli? Dev’essere quel che ha pensato un team di bioingegneri dell’Università di Pisa quando, per cercare nuove strade nel trattamento dell’ansia, ha immaginato che la cura potesse essere una mongolfiera, insomma andarsene un po’ a spasso a bordo di un pallone aerostatico. Beninteso, una mongolfiera virtuale.
Tutto comincia indossando un visore di realtà virtuale, spiegano dal Dipartimento di ingegneria dell’informazione dell’ateneo pisano, dove una équipe di bioingegneri coordinati da Alberto Greco ed Enzo Pasquale Scilingo ha progettato «una piattaforma tecnologica in cui lo scenario di realtà virtuale cambia a seconda dei segnali che invia il nostro corpo», come viene specificato. Eccoci virtualmente a bordo: «Ci troviamo immersi in uno scenario idilliaco, con boschi, montagne e prati». Attenzione, però: il volo della nostra mongolfiera tech «non segue un copione prestabilito: sale quando ci rilassiamo, invece se avvertiamo stress o ansia, la mongolfiera inizia lentamente a scendere».
Com’è possibile questo? Lo illustra Alberto Greco, docente di bioingegneria all’Università di Pisa: «La persona che indossa il visore di realtà virtuale – afferma – è monitorata con sensori non invasivi che raccolgono dati sul battito cardiaco e sulla conduttanza cutanea, che noi riusciamo a interpretare come correlati a diversi stati di ansia o rilassamento. Lo scenario di realtà virtuale che abbiamo elaborato riceve questi dati e modula il movimento della mongolfiera. Siccome lo scopo della persona è farla salire, a poco a poco impara a regolare respirazione, battito e sudorazione, e quindi ad avvertire meno stress e a rilassarsi». Gli effetti si vedono: «Lo studio, apparso sulle “Transaction on Affective Computing”, mostra che già dopo cinque minuti di uso del dispositivo le persone imparano a rilassarsi».
Il docente dell’ateneo toscano segnala che «al momento stiamo applicando gli stessi principi al “disturbo d’ansia sociale”, enormemente aumentato dopo gli anni del Covid-19 soprattutto tra giovani e giovanissimi». A Pisa è da un paio d’anni all’interno dei “Prin” (Progetto di Rilevante Interesse Nazionale) con la sigla “Brave” un progetto relativo ai problemi di ansia seguiti utilizzando come terapia la realtà virtuale: «Stiamo lavorando a una piattaforma tecnologica innovativa che applica sistemi di monitoraggio dei segnali corporei e realtà virtuale a quella che in psicologia viene chiamata “terapia dell’esposizione”: si tratta di esporre la persona allo stimolo temuto o alla situazione che genera ansia»
È un tipo di terapia «spesso non accettato da pazienti, per ovvi motivi», afferma Sergio Frumento, psicofisiologo e assegnista di ricerca al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione: però l’uso di una realtà virtuale che si adatta a chi vi è immerso consente – sottolinea – di «migliorare l’accettabilità e l’efficacia del trattamento». Aggiunge poi: «Abbiamo stimato il grado di ansia sociale di un gruppo di pazienti con un modello, e sulla base di questo abbiamo costruito due scenari in realtà virtuale: una sala d’attesa che si riempie lentamente, con persone che si avvicinano o tentano di interagire con l’utente, e uno scenario in cui all’utente viene chiesto di tenere un discorso in un teatro davanti a un pubblico numeroso».
Dietro questa strategia d’approccio, c’è un obiettivo e Frumento lo dice chiaramente: si stima in tempo reale «il livello di ansia percepita dal soggetto attraverso il monitoraggio delle dinamiche cardiovascolari e della conduttanza cutanea, al fine di adattare dinamicamente il livello di stimolazione ansiogena dello scenario e garantire una terapia personalizzata e tollerabile».
Grazie a questa estrema flessibilità e adattabilità del dispositivo – questa l’argomentazione dello studioso – lo strumento risulta adatto sia a contesti clinici che non clinici: così da far fronte a un «problema sociale che sta assumendo una portata sempre più preoccupante con un approccio che si presta anche ad applicazioni di telemedicina guidate a distanza». Non è affatto casuale ogni riferimento all’aiuto ai cosiddetti “hikikomori”, le persone che per un qualche motivo hanno deciso di “sparire” ritirandosi dalla vita nella società.
«Questa linea di ricerca – conclude Greco – si inserisce nelle attività del Centro 5.0 del Dipartimento, dove lavoriamo per la messa a punto di tecnologie sempre più “human-centered”, cioè pensate e progettate tenendo al centro le esigenze delle persone»-
Il progetto “Brave” è finanziato dal ministero dell’università e della ricerca, ed è coordinato dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa: coinvolge il Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica di Pisa (in particolare nella persona di Danilo Menicucci) e il Dipartimento di informatica, bioingegneria, robotica e ingegneria dei sistemi dell’Università di Genova.