Cibi etnici con sorpresa: nell’80% dei casi trovati ingredienti non dichiarati
In tutti gli alimenti vegetali è stato rintracciato dna di origine animale

Strumenti utilizzati per analisi cibo etnico
PISA. Le analisi su alimenti etnici destinati a finire sulle nostre tavole hanno dimostrato una verità preoccupante: in quasi l’80% dei cibi etnici destinati al consumo umano e venduti in Italia sottoposti al test sono presenti «ingredienti non dichiarati in etichetta». Di più: in «tutti i prodotti vegetali analizzati è stato rilevato dna animale». Ha un effetto choc la ricerca che è stata condotta dal FishLab del Dipartimento di scienze veterinarie dell’Università di Pisa, guidato dal professore Andrea Armani: un dossier autorevole se è vero che le risultanze sono state pubblicate su “Food Control”, rivista scientifica di riferimento a livello internazionale per la sicurezza alimentare.
È il primo studio che in Italia applica su larga scala la tecnica del “metabarcoding” su campioni raccolti nell’ambito dei controlli ufficiali: ai raggi x 62 alimenti venduti tra Lazio e Toscana, con l’individuazione anche della presenza di specie allergeniche non dichiarate (come pesci e molluschi), con «potenziali rischi per la salute dei consumatori».

Dipartimento di Scienze Veterinarie, università di Pisa
A darne notizia è l’università di Pisa segnalando che la ricerca è durata due anni e è stata finanziata dal ministero della salute: il tutto in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana “M. Aleandri” (Izslt). Il contributo del FishLab – viene sottolineato – è stato «cruciale per sviluppare e applicare protocolli innovativi basati sulle tecnologie Ngs, capaci di affiancare i metodi ufficiali già in uso e rafforzare così i sistemi di sorveglianza sulla qualità e sulla trasparenza degli alimenti».
Dal quartier generale dell’ateneo pisano, presentando le evidenze della ricerca si mette in risalto che «sono emersi casi sorprendenti: prodotti etichettati come vegetariani contenevano dna di maiale, pollo o pesce». Non solo: in «un campione dichiarato “solo pollo” sono state trovate tracce di manzo, anatra e persino cervo»; un alimento a base di riso riportava «la presenza di molluschi come vongole e ostriche che, però, non risultavano dichiarati»; in altri casi «ingredienti indicati sull’etichetta – ad esempio gamberi o uova – non sono stati rilevati affatto».
«I nostri risultati non devono essere letti in chiave repressiva», tiene a mettere in evidenza Alice Giusti, ricercatrice del Dipartimento di scienze veterinarie dell’Università di Pisa e prima autrice dello studio. «Semmai – afferma – come uno strumento di tutela per tutti: per i consumatori, che hanno diritto a informazioni corrette e sicure, e per gli operatori che intendono lavorare nella legalità e distinguersi per trasparenza e qualità». Aggiungendo poi: «Oltre a offrire nuove garanzie per chi segue diete specifiche, come vegetariani, vegani o persone con esigenze religiose, la ricerca rappresenta un passo avanti fondamentale per contrastare frodi e irregolarità nella filiera alimentare, favorendo al tempo stesso la crescita di un settore in forte espansione anche nel nostro Paese».
«Lo studio rappresenta un passo importante verso un sistema di controlli sempre più moderno e integrato, capace di rispondere alle nuove sfide poste da un mercato alimentare globale e in continua evoluzione», dice Stefano Palomba, commissario straordinario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana: «L’impiego del “metabarcoding” dimostra come la ricerca scientifica possa tradursi in strumenti concreti per la tutela della salute pubblica e per la trasparenza nei confronti dei consumatori».
Il “metabarcoding” – viene fatto rilevare – è «una tecnologia di sequenziamento di nuova generazione (Ngs) che consente di identificare in un unico test tutte le specie presenti in un alimento complesso, rivelando così ingredienti nascosti o non conformi». L’utilizzo di questa tecnica è stato possibile grazie alla strumentazione Miseq Illumina acquisita con il progetto di eccellenza Oscar e attualmente collocata all’interno del Centro Analitico Veterinario di Eccellenza (Cave) dell’ateneo pisano.
«Aver collaborato a un lavoro che valorizza l’innovazione evidenzia il nostro ruolo all’interno del sistema salute come presidio di sicurezza e garanzia di qualità per tutti», rincara Palomba. «Questa ricerca – è la sua argomentazione – testimonia al meglio il valore e la competenza dei medici veterinari pubblici, che con rigore scientifico e spirito di servizio assicurano ogni giorno alimenti sicuri, tutela del benessere animale e protezione della salute collettiva, in piena coerenza con l’approccio “One Health”, che unisce la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente».
Queste stesse motivazioni hanno spinto il ministro della salute a istituire la “Giornata della Veterinaria”, che sarà celebrata per la prima volta il 25 gennaio del prossimo anno: vede l’Izslt già in campo con la preparazione di una iniziativa che coinvolgerà enti di studio e di ricerca per «divulgare il nostro contributo al benessere, alla salute globale e alla sostenibilità dei sistemi di vita, proprio come i risultati di questo studio».