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ASSONAT E SACE

La portualità turistica vuole spazio: cercasi piano nazionale

Ci sono 161mila posti barca ma per il ministro ne servono altri 50mila

ROMA. La portualità turistica presenta il proprio identikit: 1) più di 800 porti turistici, approdi e punti di ormeggio; 2) 162mila posti barca; 3) 7.700 chilometri di costa; 4) quindici regioni costiere su venti. Quanto basta a farne un tassello-chiave nel puzzle dell’ “economia blu”, un arcipelago di realtà economiche che «vale 180 miliardi di euro e coinvolge circa 230mila imprese in Italia, dando lavoro a oltre un milione di persone» a livello nazionale.

Parte da qui il “piano strategico nazionale” messo a punto da Assonat, l’associazione della galassia Confcommercio che si fa rappresentanza delle imprese che si occupano della costruzione o della gestione degli approdi turistici italiani, annessi e connessi compresi. L’ha fatto in tandem con Sace, gruppo assicurativo finanziario italiano partecipato dal ministero dell’economia. Ed è una novità in questo campo: lo rivendica Assonat spiegando che «il settore è per la prima volta protagonista» di un qualcosa del genete.

Partendo da un’analisi di scenario e di valutazione dell’adeguatezza dei posti barca e delle strutture, inutile dire che se ne ricava il bisogno di adeguare la dotazione esistente. Dunque, si identificano tre direttrici di sviluppo su cui investire per la portualità turistica italiana: più strutture, più competitività, più sostenibilità. È così che si rafforza «l’attrattività dei porti italiani a livello internazionale», parola dell’organizzazione di settore.

Il dossier del piano è stato messo in vetrina alla presenza del ministro Nello Musumeci (protezione civile e politiche del mare), del comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto, ammiraglio ispettore capo Nicola Carlone, e del numero uno di Assonautica Italiana di Unioncamere, Giovanni Acampora. Con una richiesta: è indispensabile che il governo metta in campo «al più presto un disegno di legge sulla portualità turistica italiana».

Il fabbisogno? In realtà, e qui il dossier richiama la “Relazione sul diporto nautico”, «il numero di posti barca deve risultare maggiore del parco nautico, in considerazione della necessità di accogliere unità da diporto provenienti anche da altri Paesi, al fine di valorizzare ed accrescere l’offerta di strutture turistiche presenti sul territorio». In teoria, vi sono 80.474 unità da diporto immatricolate che dovrebbero stare ben comode negli spazi di 161.778 posti barca suddivisi in oltre 800 strutture (75mila in porti turistici, quasi 37mila in approdi turistici e poco meno di 50mila in punti di ormeggio). Il problema è che quel numero non tiene conto della piccola nautica: si pensi che nella sola Livorno si stima che il “popolo delle barchette” abbia 3mila imbarcazioni.

Il ministro Nello Musumeci, titolare delle delghe su protezione civile e politiche del mare

Il magazine online StartMag riferisce che il ministro Musumeci indica il bersaglio così: «Mancano 50mila posti barca, dall’estero si chiede di avere uno spazio sulle nostre coste ma non possiamo rispondere, in un settore che registra una selvaggia concorrenza. Verso settembre potremo tirare le fila del nostro lavoro per capire cosa siamo riusciti a modificare i 5/6 articoli da sistemare. Sarebbe un grande risultato introdurre porti turistici nelle isole minori».

Un caso a sé sono i grandi yacht. Lo studio precisa che la nautica di alta gamma «contribuisce per il 65% all’impatto economico totale della nautica (27,7 miliardi di euro), con l’80% del valore generato dalla cantieristica». Rappresenta «solo il 2% circa della flotta in visita in Italia», eppure i grandi yacht generano «il 55% del valore derivante dall’utilizzo delle imbarcazioni»: la ricaduta in termini di spesa “locale” di un grande yacht è «26 volte superiore alla media». In cifre: Assonat stima che «un grande yacht immatricolato in Italia, con equipaggio italiano e che trascorra almeno dieci settimane l’anno lungo le coste nazionali, genererebbe un contributo annuale complessivo pari a 1,6 milioni di euro per barca».

Primo passaggio è la definizione di una visione d’insieme, l’obiettivo è arrivare alla «stesura di un “masterplan” nazionale dei porti turistici italiani, suddiviso per regione, per censire e riqualificare le infrastrutture esistenti». Con l’idea del “masterplan” si punta a stabilire «parametri comuni per la pianificazione e la riqualificazione dei porti italiani in base alla dimensione e tipologia delle unità da diporto, con un’attenzione particolare alla sostenibilità ambientale, all’efficienza logistica e all’integrazione con il tessuto urbano circostante». Del resto, c’è da tener conto del fatto che i porti turistici hanno assunto una «particolare rilevanza» nel sistema turistico nazionale e, soprattutto, hanno mostrato di avere una «funzione propulsiva nella promozione dell’economia costiera».

Fra le proposte figurano anche: 1) l’esenzione dall’Imu per i porti turistici; 2) la non accatastabilità dei posti barca; 3) la previsione di criteri e parametri di stima omogenei su tutto il territorio nazionale. Ma anche: proposte di semplificazione e revisione in fatto tanto di dragaggi quanto di movimentazione di sabbie,

Proprio per poter contare sugli ingranaggi da mettere in moto, – viene fatto rilevare – si è stretta l’alleanza con Sace. Scopo: supportare gli obiettivi del piano, «facilitando l’accesso alle soluzioni assicurativo finanziarie di Sace» e lavorando congiuntamente a «iniziative quali incontri di “business matching” e tavoli operativi dedicati».

Luciano Serra, numero uno di Assonat Confcommercio

Il presidente di Assonat, Luciano Serra, aprendo la presentazione di fronte a una platea di rappresentanti della filiera, parte proprio dal fatto che questo piano è «il primo mai dedicato a livello nazionale al sistema della portualità turistica italiana». Arriva come esito di «un lungo percorso»: è stato «avviato con il Blue Forum di Gaeta e le consultazioni all’interno di “Port in Italy” ed è culminato nel “Piano del Mare” e negli “Stati generali della portualità turistica italiana”.

Serra lo dice più esplicitamente nella prefazione alle 287 pagine del dossier: «Non si tratta di un documento solo di contenuto tecnico». Per dirne una, se il decollo è il Blue Forum che ha avuto in Giovanni Acampora il suo ideatore, Gaeta è «diventata in questi anni il cuore del dibattito sulla “blue economy” italiana»: è «lì che si è cominciato a parlare anche di portualità turistica non più come un segmento marginale, ma come parte di rilievo dell’economia del mare».

È anche un investimento politico, se è vero che si individua nella nascita del governo Meloni l’elemento che dà «forza politica a questo processo» arrivando, con esso, alla «istituzione del ministero per le politiche del mare». Tradotto: «Per la prima volta si è riconosciuto che il mare non è solo una risorsa da difendere ma anche una leva strategica per lo sviluppo del Paese»

Nell’aprile 2023 – viene spiegato nella prefazione – Assonat ha promosso con “Port in Italy” «una consultazione pubblica a livello nazionale per raccogliere proposte, esperienze, idee da chi il mare lo vive tutti i giorni» (e qui ha trovato la sponda della ministra Santanchè così come nel febbraio successivo incrocerà l’attenzione dei ministri Urso e Musumeci con gli “Stati generali”). Poi con il “Piano del Mare” il governo ha «per la prima volta riconosciuto in modo chiaro anche il valore della portualità turistica all’interno delle politiche marittime del nostro Paese».

«I porti sono snodi vitali per la crescita economica e per lo sviluppo delle filiere e del territorio e investire nella portualità turistica più efficiente e competitiva significa scommettere su un’Italia più forte e attrattiva agli occhi del mondo»: così l’amministratore delegato di Sace, Alessandra Ricci.

Pubblicato il
22 Giugno 2025

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