Classifica delle università, Pisa al 4° posto in Italia
Ma l'Italia è l'unico Paese del G7 senza neanche un ateneo fra i primi 100 al mondo: non sarà un problema?

La sede del rettorato dell’università di Pisa
PISA. Nell’ennesima classifica dei migliori atenei brilla la stella dell’università di Pisa: stavolta stiamo parlando di una graduatoria con targa cinese, l’ “Academic Ranking of World Universities” (Arwu), messa nero su bianco dallo Shanghai Ranking Consultancy, considerata «una delle più accreditate agenzie di rating internazionale per la valutazione di atenei ed enti di ricerca», come si sottolinea dal quartier generale dell’università di Pisa rendendo nota la notizia. Ecco che l’Università di Pisa si colloca «al quarto posto in Italia dopo La Sapienza di Roma (che mantiene la prima posizione nazionale) e le Università di Milano e Padova». Non basta: risulta piazzato «fra i primi 300 atenei su scala mondiale».
Nell’indagine condotta dall’équipe cinese emerge che, a confronto con gli analoghi studi di anni precedenti, Pisa a livello mondiale figurava nella fascia fra il 150° e il 200° posto tanto nel 2023 che nel 2024. Resta il fatto che Pisa si conferma sul podio italiano
- per numero di ex studenti e ricercatori vincitori di premi Nobel e Medaglie Fields, rispettivamente con il primo e il secondo posto (dopo la Sapienza);
- con il terzo posto per la produttività pro-capite (dopo l’Università San Raffaele e l’Università di Trento).
Più di 2.500 le università passate ai raggi x dagli analisti dell’agenzia asiatica: fra queste soltanto mille sono state inserite nella classifica, 41 di esse sono italiane.

Questa è la classifica delle prime cento università del mondo secono l’indagine cinese Arwu. Il Paese più rappresentato sono gli Usa (con 38 atenei), seguiti dalla Cina (con 13) e dal Regno Unito (con otto). Poi: Svizzera e Australia con cinque, Germania e Francia con quattro, a quota tre Israele, Svezia e Canada. Con due atenei a testa comoaiono Danimarca, Paesi Bassi, Hong Kong, Giappone e Singapore. Uno a testa per Belgio, Corea del Sud, Finlandia, Norvegia. E l’Italia? Non c’è
Harvard ancora la numero uno, alla faccia di Trump
A guidare la graduatoria della migliore università del pianeta resta Harvard: alla faccia del presidente statunitense Donald Trump che le ha inventate di tutte per piegarla (rimanendo sconfitto). Le università degli Stati Uniti, così pesantemente ostracizzate nel periodo più recente dalla Casa Bianca, si confermano predominanti come atenei superstar a livello globale; eccezion fatta per le britanniche Cambridge (quarta) e Oxford (sesta), l’intero gruppo delle prime dieci università al mondo sono tutte statunitensi, a cominciare dalla Stanford University (californiana) e dal Massachusetts Institute of Technology (Boston). Strano, se vogliamo, che a dirlo sia proprio una équipe cinese…
Per elaborare la graduatoria l’“Academic Ranking of World Universities” si basa su una serie di indicatori:
- i premi Nobel e le Medaglie Fields di ex studenti (alumni) o di ricercatori della singola università (Award),
- il numero di ricercatori altamente citati affiliati presso l’Ateneo (Hi-Ci),
- le pubblicazioni su “Nature & Science” (N&S),
- le pubblicazioni sulle riviste più citate nelle aree tecnico-scientifico e sociale (Pub),
- un ulteriore indicatore che rapporta i precedenti cinque parametri allo staff accademico, fornendo una sorta di produttività di pro capite (Pcp).
«La classifica Arwu – spiega il prorettore vicario dell’ateneo pisano, Giuseppe Iannaccone – ha la caratteristica principale di valutare esclusivamente l’impatto scientifico usando solo parametri oggettivi e pubblici, in modo che ciascuno sia in grado di ricostruire la valutazione. E’ per questo la classifica che personalmente preferisco. L’oggettività rende merito al nostro sistema universitario nazionale, e in particolare alla nostra università. Guardando a tutto il mondo, è impressionante osservare la crescita dell’Oriente, in termini quantitativi e qualitativi».
Ecco in quali campi l’università di Pisa brilla
È da segnalare quali sono i punti di forza secondo la ricerca cinese: il miglior risultato è il 48° posto mondiale nel settore delle scienze veterinarie. Nella fascia compresa fra il 51° e il 75° posto spiccano per l’ateneo pisano i settori sia di fisica sia di farmacia e scienze farmaceutiche; fra il 76° e il 100° posto mondiale il settore di matematica. Brillante il posizionamento in classifica fra il 101° e il 150° posto in classifica per gli studi sia in automazione e controllo sia in scienze agrarie. Entro i primi 200 atenei al mondo, cioè fra il 151° e il 200° posto, il settore di scienze e ingegneria energetica così come quello di tecnologia medica. Un po’ più giù, fra il 200° e il 300° posto, ecco ingegneria meccanica, ingegneria elettrica ed elettronica, ingegneria delle telecomunicazioni, scienze e tecnologie alimentari, scienze biologiche umane, medicina, odontoiatria. Fra il 301° e il 400° posto i settori di economia, di chimica, di scienze della terra, di informatica e ingegneria, di ingegneria chimica, di nanoscienze e nanotecnologie, di scienze biologiche. Fra il 401° e il 500° posto infine sia ecologia che biotecnologie.
Ma l’80% degli atenei italiani perde competitività
Il quotidiano confindustriale “Sole 24 Ore” qualche settimana fa ha pubblicato un altro “ranking” riguardante le università del mondo: l’ha fatto proprio segnalando che, nella classifica internazionale predisposta dal Center for World University Ranking (Cwur), quattro atenei italiani su cinque se la cavano peggio dell’anno precedente: nessuna università italiana fra le prime cento al mondo (così come aveva indicato anche l’indagine cinese citata poco prima), le presenze italiane scendono da 67 a 66 e quelle che ci sono hanno un posizionamento in classifica più giù di appena dodici mesi prima (53 su 66, 80,3%), solo tre risultano stabili (e fra queste l’università di Pisa), a malapena dieci salgono di qualche gradino (Torino, Napoli Federico II, Cattolica, Bari, Ferrara, Roma Tre, Humanitas, Gran Sasso Institute, Venezia Ca’ Foscari, Bolzano).

Il quotidiano confindustriale “Sole 24 Ore”, sempre attento a quanto si muive sul fronte della formazione di alto livello, pubblica la classifica delle università italiane citate nell’indagine contotta da Cwur su scala internazionale
Da segnalare che anche in questa graduatoria Harvard è al primo posto e che è avvenuto il sorpasso nell’ “ingranaggio” che produce cervelli: per la prima volta, nella classifica delle migliori università del globo terracqueo, gli Usa fanno man bassa nei primissimi posti ma nella “fotografia” delle prime 2mila università (su 21mila analizzate) si contano più atenei cinesi che americani. In cifre: 346 atenei cinesi contro 319 statunitensi. Appena dodici mesi fa il rapporto era a parti invertite: 329 gli Usa, 324 la Cina. Vi sembra uno sprint che neanche Verstappen? Giusto: il 98% delle università cinesi ha migliorato la propria posizione. A partire da quelle della C9League, una sorta di “Ivy League in salsa cinese”: Tsinghua dal 43° al 37° posto, Pechino dal 47° al 44°, Jiao Tong dal 67° al 61°, Fudan dal 78° al 73° e via enumerando, tutte in crescita. Certo, lo stradominio statunitense nella produzione di intelligenze domina i piani alti della graduatoria ma, come accade spesso in Cina, qui non si tratta di un pugno di geni ma di una leva di migliaia, decine di migliaia di ingegneri, matematici, biologi, chimici, eccetera, e ciascuno in grado di stare nella Champions League degli scienziati…
Per quanto riguarda il risultato dell’apparato universitario made in Italy, vale la pena di segnalare – è il filo dell’argomentazione del “Sole” – che sul dato italiano pesa l’andamento della ricerca: solo 14 atenei vedono migliorare la produttività della ricerca, negli altri 52 casi è in calo. Ma il numero uno del Cwur, Nadim Mahassen, mette esplicitamente l’accento anche su un altro elemento: «Mentre diversi Paesi pongono lo sviluppo dell’istruzione e della scienza in cima alla loro agenda, l’Italia fatica a tenere il passo. Senza finanziamenti più consistenti e una pianificazione strategica più efficace, l’Italia rischia di rimanere ulteriormente indietro nel panorama accademico globale in rapida evoluzione».
L’unico Paese del G7 senza un ateneo fra i primi 100
C’è dell’altro: basta vedere, nell’indagine internazionale di “marca” cinese citata all’inizio (Arwu), a quali realtà nazionali appartengono le prime cento università in classifica. Come detto, la fanno da padroni gli Usa con 38 atenei fra i migliori 100 del pianeta, segue la Cina con 13, il Regno Unito con otto, la Svizzera con cinque così come l’Australia, ne hanno quattro nel “ranking” due grandi stati europei come la Germania e la Francia, possono contare su tre università nella top 100″ Israele, Svezia e Canada. Poi, seguono con due atenei a testa Danimarca, Paesi Bassi, Hong Kong, Giappone e Singapore. Hanno almeno uno zampino con una università fra le cento più importanti al mondo Belgio, Corea del Sud, Finlandia, Norvegia. Non vi sembra che manchi qualcosa? Esatto, l’Italia: siamo l’unico Paese del G7 – cioè i sette Paesi-guida a livello mondiale – a non avere neanche una università fra le prime cento al mondo. Neanche una, neanche la migliore, neanche la più cara. Ecco, forse questo dovrebbe cominciare a preoccuparci: e invece vi pare di cogliere che per il dibattito pubblico sia un problema?
Mauro Zucchelli
DALL’ARCHIVIO. Qui i link ad alcuni articoli della Gazzetta Marittima sulle università toscane in classifica:
- La Normale di Pisa prima fra le università italiane per scienze fisiche
- La Normale entra nell’Olimpo internazionale degli otto super-atenei in campo umanistico
- L’università di Firenze ottiene il primo posto fra le università italiane nel campo della sostenibilità